Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/253

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e, che che dicasi il Sig. Gibbon, mal confacente, in ispecial modo nel regno di alcuni, alla pubblica tranquillità, era sì strettamente connessa l’arte vanissima sì, ma funesta della divinazione co’ riti del Paganesimo, che la stessa vita dei Principi, non che dei privati, finchè sussistevano, era sovente esposta a pericolo. Ed in fatti il celebre Gotofredo1 giustificando per questo capo la severità di Costanzo nel proibire i sacrifizj, soggiunge = Quod et Theodosio M. evertit, antequam sacrificio penitus prohiberentur. Una conferma di ciò la troviamo nella legge duodecima del Codice Teodosiano, in cui si duole il nostro Critico, che fossero inclusi nella condanna (udite linguaggio!) gl’innocenti diritti del Genio domestico, e dei Penati; perciocchè in essa il Legislatore così ragiona intorno alle vittime vietate con più rigore: „Sufficit enim ad criminis molem naturae ipsius leges velle rescindere, inlicita perscrutari, occulta recludere, interdicta temprare; finem quaerere salutis alienae, spem alienis INTERITUS polliceri„. Ne debbo omettere la memorabil combriccola narrata da Zosimo, ed Ammiano Marcellino2 non men che dai nostri3; in cui i Gentili, annojatisi degl’Imperadori Cristiani, sebbene fosse loro accordata in quel tempo una pie-

    cora più esteso - In hoc Reges, sicut eis divinitus praecipitur, Deo serviunt, in quantum Reges sunt si in Regno suo bona, jubeant, male prohibeant non solum quae pertinent ad humanam societatem, verum etiam quae pertinent ad Religionem.

  1. Comm. ad L. 4. de’ Sacrif. T. 6. C. Theod.
  2. Zos. L. 4. C. 13, Amm. L. 29 C. 1.
  3. Soz. L. 6. C. 35, Sacr. L. 4 C. 19.