Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/255

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duli sudditi, che ammettevano le favole di Ovidio, e rigettavano ostinati i miracoli del Vangelo. E si negherà tuttavolta agl’Imperadori Cristiani la scusa di sospetto e di timore, che tanto liberalmente si concede ai Tiranni?

Io mi do a credere, che il Sig. Gibbon esigesse, che i Cesari, prima di promulgare veruna legge penale contro i riti del Paganesimo, lasciassero decretar dal Senato qual culto dovesse formare la Religion dei Romani. Or bene, Teodosio appunto ch’ei tenta di rendere odioso sopra di ogni altro, come se ancora il governo di Roma fosse stato sul piede, su cui era allor quando fu solennemente prescritta la licenza dei Baccanali1, rilasciò al Senato una tal decisione; e quel rispettabile ceto decise, che si formasse dal culto di GESU’ CRISTO. Un’azione sì bella e sì nobile, e tanto più gloriosa per Teodosio, quanto men necessaria, doveva riscuoter gli applausi di uno Storico vero; ma la malignità per esser coerente a se stessa dee sempre annettere facto pulcherrimo atque justissimo imposturae calumniam2. Quindi è che dal Sig. Gibbon pretendesi la libertà di quei voti conceduta da Teodosio per affettazione, anzi tolta dalle speranze, e dai timori inspirati dalla presenza di lui. Che le grandi speranze fossero un forte allettativo ad operare io lo sapeva già da fanciullo3; ma che giungano a to-

    il Giovane Tom 7. Tit, de Judaeis al §. Hinc perspicit in cui si rimproverano i Pagani con somma forza ed eleganza per la loro audacia. Non la trascrivo per non esser prolisso.

  1. Tit. Liv. Lib. 39. C. 14. Ed. Freinshem; T. 5. p. 322.
  2. Plutarc, al l. cit.
  3. Cic. de Offic. Lib. 3. C. 19.

    Cum permagna praemia sunt etc.