Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/256

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gliere la libertà non l’ho per anco imparato. Neppur so comprendere qual timor tanto grave da togliere la libertà1 potesse ispirar la presenza di un Principe che perdonava ai carnefici di coloro, i quali non dubitava di venerar come martiri2; Principe di un carattere sì virtuoso da potersi quasi scusare la supposizione dell’Oratore Pacato, che se al vecchio Bruto fosse stato permesso di ritornar sulla terra, avrebbe quel rigido Repubblicano deposto a’ piè di Teodosio l’odio che aveva pe’ Re (così il Sig. Gibbon) – Ita enim accusas (direbbe Plutarco) mox patrocinaris calumniasque de viris illustribus perscribis, quas rursum dilluas3. „La professione del Cristianesimo, aggiunge l’autore, non divenne essenziale per godere i diritti civili, non s’impose alcun peso ai Pagani; il palazzo, le scuole, l’esercito n’eran pieni. Simmaco fu innalzato alla dignità consolare. Libanio era distinto per l’amicizia del suo Sovrano, gli apologisti più eloquenti del Paganesimo non furono mai sollecitati o a mutare o a dissimulare le religiose loro opinioni„. Da tali fatti considerati come tante premesse, la mia Dialettica, vel confesso, non si sente inclinata a dedurre, che fosse affettata la libertà dei voti concessa al al Senato Romano da Teodosio il Grande, e molto meno che fosse tolta dalle speranze, e dai timori inspirati dalla presenza di lui. Giudicate poi Voi, se il sig. Gibbon sia punto partecipe della malizia dei Sofisti Pagani Libanio, ed Eunapio.

  1. V. Puffendorf de J. N. et. G. Lib. 1. G. 4. cum Barbeyr. Not. 3. ac. §. 9. Burlam. Princip. du Droit. nat. C. 2. ed altri non Casisti.
  2. Sozom. L. 7. C. 15, cit. de’ sop.
  3. De malign. Herod.