Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/259

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un incorrere nella censura fatta dal nostro Plutarco a Licurgo Driantide, il quale volle recise le viti per impedir l’ubbriachezza1. Gli atti pubblici, come i Concilj, e le Professioni di fede, gli scritti dei Santi Padri e Pastori depositarj legittimi della credenza, questi sono i fonti, dai quali si debbe attingere il domma e la disciplina del Cristianesimo2.

Ecco pertanto ciò che insegna precisamente un Concilio, da noi riputato ecumenico, su questi punti. I Santi che regnano con Gesù Cristo offeriscono a Dio le loro preghiere a favore degli uomini, e per conseguenza ella è una pratica buona e vantaggiosa l’invocarli, perchè c’impetrino da Dio i benefizj per mezzo di Gesù Cristo, unico nostro Redentore e Salvatore3. Non si credono adunque i Santi gli arbitri delle nostre suppliche, e molto meno altrettante Divinità. Per esser superstiziosi e idolatri bisognerebbe togliere a Dio alcuna delle perfezioni della sua essenza infinita, od attribuirne alcuna alle sue creature propria unicamente di Lui4. „Ma la nostra Chiesa non permette di riconoscere nei più gran Santi alcun grado di eccellenza che non venga da Dio, nè alcun pregio avanti agli occhi di Lui, che per le virtù loro, nè alcuna virtù che non sia un DONO della

  1. Plutarc., in Comment. Quomodo adolescens poetas audire debeat ex Xyland. pag. 11.
  2. Lo stesso, e con ragione esigono i Protestanti. Vedi Concl. Syn. Dord. in Syntagm. Confes. Fid.
  3. Trid. sess. 25. al l. e la professione di fede non dice di più. Vedi Franc. Veron., Reg. Fid. § 7.
  4. Vedi l’Esposiz. della Dottr. della Chiesa di Mons. Bossuet Cap. 4. l’Avvertim. premesso all’Ediz. di Venez. 1713.