Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VII.djvu/225

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dell'impero romano cap. xxxix. 219

miseria potè qualche volta muovere l’indigente Romano a prendere i feroci costumi che appoco appoco si lasciavano dal ricco e lussurioso Barbaro1: ma tali vicendevoli trasformazioni non eran punto promosse dalla politica d’un Monarca, che rendè perpetua la separazione fra gl’Italiani ed i Goti, riservando i primi alle arti della pace, ed i secondi agli esercizi della guerra. Per eseguire questo disegno ei procurò di proteggere gl’industriosi suoi sudditi, e di moderar la violenza senza snervare il valore dei suoi soldati, che dovevan servire alla pubblica difesa. Essi ritenevano le loro terre, e i benefizi come uno stipendio militare; al suono della tromba eran pronti a marciare sotto la condotta de’ loro Ufiziali provinciali; e tutta l’Italia era distribuita in più quartieri d’un medesimo campo ben regolato. Si faceva la guardia del Palazzo e delle Frontiere per elezione o per turno; ed ogni straordinaria fatica veniva ricompensata da un accrescimento di paga, o da donativi arbitrari. Teodorico aveva persuaso i suoi bravi compagni che l’Impero si dee difendere con quelle medesime arti, con le quali s’acquista. Dietro il suo esempio essi procuravano di esser eccellenti nell’uso non solo della lancia e della spada, istromenti delle loro vittorie, ma

    vano il linguaggio de’ Goti (Var. VIII. 21). Non distruggono la lor generale ignoranza l’eccezioni d’Amalasunta, che come donna poteva studiare senza vergogna, o di Teodato, la dottrina del quale provocò lo sdegno e il disprezzo de’ suoi Nazionali.

  1. Era fondato sull’esperienza questo detto di Teodorico: Romanus miser imitatur Gothum; et utilis (dives) Gothus imitatur Romanum. (Vedi il Frammento, e le Note del Valesio, p. 719).