Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VII.djvu/319

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. xl. 313

Ei non avea tratto le sue cognizioni dalle scuole1, ed il suo stile appena era leggibile, ma era eccellente per la forza d’un genio naturale a suggerire i consiglj più saggi, ed a trovare degli espedienti nelle più disperate situazioni. La corruzione del cuore uguagliava in esso il vigor della mente. Quantunque fosse sospetto di superstizione magica e pagana, sembra però che fosse affatto insensibile al timore di Dio o a’ rimproveri degli Uomini; ed innalzò la sua ambiziosa fortuna sulla morte di migliaia di persone, sulla povertà di milioni, e sulla rovina e desolazione d’intiere Città e Province. Dallo spuntar del giorno fino al tempo del pranzo egli assiduamente occupavasi nell’arricchire il suo Signore e se stesso, a spese del Mondo romano; consumava il resto del giorno in sensuali ed osceni piaceri; e le tacite ore della notte venivano interrotte dal perpetuo timore della giustizia d’un assassino. La sua abilità e forse i suoi vizi gli conciliarono la durevole amicizia di Giustiniano: l’Imperatore cedè con ripugnanza al furore de’ sudditi; ma fece pompa della sua vittoria con rimettere immediatamente nel primiero posto il nemico di essi; ed il Popolo provò per più di dieci anni sotto l’oppressiva di lui amministrazione, ch’egli era più stimolato dalla vendetta, che istruito dalla disgrazia. I popolari bisbigli non servirono che a fortificare la fermezza di Giustiniano: ma il Prefetto, divenuto insolente per il favore, provocò l’ira di Teodora, sdegnò una potenza,

  1. Ου γαρ αλλα ουδεν ες γραμματιστους φοιτων εμαθεν οτι μη γραμματιστα, και ταυτα κακα κακαως γραψαι... Niente altro imparò andando alla scuola che a scriver le lettere, e queste assai malamente); espressione molto forte.