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dell'impero romano cap. xlv. | 281 |
ganno dai richiami della prodigalità e da’ frodolenti artifizj1.
[A. D. 566] Giustino, nel settimo giorno del suo regno, diede udienza agli ambasciatori degli Avari, e decorata fu la scena in modo da imprimere ne’ Barbari i sensi della maraviglia, della venerazione e del terrore. Principiando dalla porta del palazzo, gli spaziosi cortili ed i lunghi portici offrivano in doppia e continua fila, la vista de’ superbi cimieri e degli aurei scudi delle guardie, che presentavano le lance e le azze loro con più securtà che non avrebbero fatto sul campo della battaglia. Gli ufficiali, che esercitavano il potere od accompagnavano la persona del Principe, erano coperti delle più ricche lor vesti, e disposti secondo l’ordine militare e civile della gerarchia. Come il velo del santuario fu tratto, gli ambasciatori mirarono l’Imperatore dell’Oriente assiso in trono, sotto un baldacchino sostenuto da quattro colonne, e coronato da una figura alata della Vittoria. Essi ne’ primi moti della sorpresa, si sottomisero all’adorazione servile della corte Bizantina; ma appena alzati da terra, Targezio, Capo dell’ambasceria, spiegò la libertà e l’orgoglio di un Barbaro. Egli esaltò, mediante la lingua di un interprete, la grandezza del Cacano, la cui clemenza permetteva di sussistere ai regni del Mezzogiorno, ed i vittoriosi cui sudditi aveano valicato i fiumi agghiacciati della Scizia, ed allor coprivano le rive del Danubio d’innumerevoli tende. L’ultimo Imperatore avea coltivato, con annui e magnifici doni, l’amicizia di