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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/332

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328 storia della decadenza


Al pari di Tebe, di Babilonia e di Cartagine, il nome di Roma si sarebbe cancellato di sopra la terra, se la città non fosse stata animata da un vitale principio, che di nuovo la restituì agli onori e al dominio. Una vaga tradizione era invalsa che due Apostoli ebrei, uno facitor di tende, l’altro pescatore, fossero stati anticamente posti a morte nel Circo di Nerone, ed in capo a cinquecent’anni le genuine o fittizie reliquie loro vennero adorate come il Palladio di Roma Cristiana. I pellegrini dell’Oriente e dell’Occidente accorsero a prostrarsi innanzi al limitar sacrosanto; ma da miracoli e da terrori invisibili erano custodite le urne degli Apostoli; nè senza sbigottimento il pio Cattolico si avvicinava all’oggetto del suo culto. Fatale era il toccare, pericoloso il riguardare i corpi dei santi; e coloro che, anche spinti da’ più puri motivi, ardivano di turbare il riposo del santuario, venivano spaventati da visioni, o perivano di subitanea morte. L’irragionevole domanda di un’Imperatrice, la quale desiderò di privare i Romani del loro sacro tesoro, la testa di S. Paolo, fu col massimo orror rigettata, ed il Papa asserì, probabilissimamente senza mentire, che un pannolino santificato per la vicinanza del corpo del santo, o la limatura della sua catena, che alle volte era facile, alle volte impossibile di ottenere, possedevano un grado eguale di miracolosa virtù1. Ma il potere, egual-

    struzione de’ fabbricati e delle statue, di cui si fa rimprovero a Gregorio I; quanto alla Biblioteca Palatina egli allega Giovanni di Salisbury (De nugis curialium, l. II c. 26); e per Tito Livio cita Antonio Fiorentino: il più antico di codesti tre testimonj viveva nel secolo dodicesimo.

  1. San Gregorio, l. III, epist. 24, indict. 12 ec. Dalle epistole di S. Gregorio e dall’ottavo volume degli Annali di