Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/335

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dell'impero romano cap. xlv. 331

desiderio di Gregorio era di vivere sconosciuto in quella vita e glorioso nell’altra. Non pertanto, la sua devozione, e forse era sincera, calcò il sentiero che si sarebbe scelto da un astuto ed ambizioso politico. I talenti di Gregorio, e lo splendore che accompagnò la sua ritirata, lo renderono caro ed utile alla Chiesa; e l’implicita obbedienza si è sempre inculcata come il primo dovere di un monaco. Tosto ch’ebbe ricevuto il carattere di Diacono, Gregorio fu mandato a risiedere alla corte di Bisanzio in qualità di nunzio o ministro della Sede apostolica; ed egli arditamente prese in nome di S. Pietro uno stile d’indipendente dignità, che il più illustre laico dell’Impero non avrebbe potuto usare senza delitto e pericolo. Egli tornossene a Roma con una riputazione giustamente accresciuta, e dopo un breve esercizio delle monastiche virtù, fu tratto dal chiostro ed innalzato alla Sedia pontificale per l’unanime suffragio del Clero, del Senato e del Popolo. Egli solo si oppose, o parve opporsi al suo esaltamento, e l’umile preghiera che fece a Maurizio onde si degnasse di non approvare la scelta dei Romani, non servì che a fare spiccar maggiormente il suo carattere agli occhi dell’Imperatore e del Popolo. Quando fu pubblicata la fatal conferma del Principe, Gregorio ricorse all’aiuto di alcuni mercatanti suoi

    aedibus ad clivum Scauri prope ecclesiam SS. Johannis et Pauli in honorem S. Andreae (Gio. in vit. S. Greg. l. 1, c. 6; S. Gregorio, l. VII, epist. 13). Questa casa e questo Monastero erano collocati sul fianco del Monte Celio che sta rimpetto al Monte Palatino; in oggi è posseduta dai Camaldolesi. San Gregorio trionfa e Sant’Andrea si è ritirato in un’angusta Cappella (Nardini, Roma antica, l. III c. 6 p. 100; Descrizione di Roma t. I p. 442-446).