Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/341

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dell'impero romano cap. xlv. 337

l’Italia, fuggendo dai Barbari si ripararono alle soglie ospitali del Vaticano. Gregorio perciò giustamente era chiamato il Padre della Patria; e tale era l’estrema sensività della sua coscienza, che in pena della morte di un accattone, ch’era perito sulla strada, egli s’interdisse per più giorni l’esercizio delle funzioni sacerdotali. II. Le sciagure di Roma involgevano il Pastore apostolico nelle pratiche della pace e della guerra; e forse Gregorio non sapeva egli stesso se la pietà e l’ambizione lo traesse a far le veci del suo assente Sovrano. Egli scosse l’Imperatore da un troppo lungo letargo; gli espose la reità e l’incapacità dell’Esarca e de’ suoi ministri inferiori, si lagnò che i veterani fossero tratti da Roma per la difesa di Spoleto, confortò gl’Italiani a difendere le loro città e i loro altari; e condiscese, nella crisi del pericolo, a nominare i Tribuni, ed a reggere le operazioni delle truppe provinciali. Ma lo spirito marziale del Papa era frenato dagli scrupoli dell’umanità e della religione; liberamente egli condannò come odiosa ed oppressiva l’imposizione del tributo, quantunque venisse impiegato in servigio della guerra Italiana, e protesse contro gli editti Imperiali la devota codardia de’ soldati che dalla vita militare disertavano alla vita monastica. Se vogliamo dar fede alle sue dichiarazioni, Gregorio avrebbe potuto agevolmente sterminare i Lombardi per mezzo delle domestiche lor fazioni, senza lasciar vivo un Re, un Duca od un Conte, e salvare quella sfortunata nazione dalla vendetta de’ loro nemici. In qualità di Vescovo cristiano, egli preferì i salutevoli uffizi di pace; la sua mediazione sedò il tumulto delle armi; ma troppo conoscente egli era delle arti de’ Greci e delle passioni de’ Lombardi, per im-