Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/317

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dell'impero romano cap. lviii 311

nion pubblica si facevano mallevadori. Come campione di Dio e delle donne (arrossisco nel collegare insieme queste due idee così disparate) egli obbligavasi a non mai tradire la verità, a mantenere la giustizia, a proteggere gli infelici, ad usare la cortesia, (virtù agli antichi men famigliare) a combattere gli Infedeli, a sprezzare le lusinghe di una vita molle e pacifica, a difendere, in tutte le occasioni pericolose, l’onore della cavalleria, l’abuso della quale, il disprezzo dell’arti, della pace e dell’industria ben tosto fra i cavalieri introdusse. Riguardatisi questi, come i soli giudici, e vendicatori competenti delle proprie ingiurie, le leggi della società civile e della militar disciplina rifiutarono parimente; ciò non ostante sonosi provati spesse volte, e ravvisati con molta evidenza, i felici effetti che una tale istituzione operò, nell’ammansare l’indole feroce de’ barbari, e nell’inspirare ai medesimi i principj della buona fede, dell’umanità e della giustizia. Dileguatesi a poco le ingiuste nimistà prodotte da differenza di patria, la fraternità d’armi, o di religione, introdusse uniformità di massime, e gara di virtù fra i Cristiani. I guerrieri di ogni nazione aveano ad ogni istante motivi di assembrarsi, per pellegrinaggi al di fuori, per imprese, o esercizj militari nelle interne parti d’Europa; e un giudice imparziale, ai Giuochi olimpici, tanto nell’Antichità rinomati1, i tornei de’ Goti cer-

  1. Gli esercizj degli atleti, soprattutto il cesto e il pancrazio, vennero biasimati da Licurgo, da Filoppemene e da Galeno, vale a dire da un legislatore, da un Generale e da un medico. Contro la censura di questi il lettore può leggere la difesa che ne ha fatto Luciano nell’elogio di Solone (V. West, sui Giuochi olimpici nel suo Pindaro, v. II, p. 86-96, 245-248).