Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XII.djvu/187

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dell'impero romano cap. lxii. 183

ingenita dell’Imperatore ebbe maggior alimento da un penoso morbo che gli presentava di continuo imminente la morte, e dai timori destatisi nel medesimo di doverlo alle forze di un veleno, o di un sortilegio. Ogn’impeto di collera che lo assaliva, costava or le sostanze, or la vita, o gli occhi, o alcun membro del corpo a qualche individuo della famiglia imperiale, o a qualche grande uffiziale della Corona; laonde sul terminar de’ suoi giorni, il figlio di Vatace si meritò dal popolo, o certamente dalla sua Corte, il nome di tiranno. Venuto una volta in deliberazione di maritare una nobile ed avvenentissima donzella ad un vil plebeo, cui solo merito era il capriccio del Sovrano che lo favoriva, e non acconsentendo a tai nozze la madre della giovane che apparteneva alla famiglia de’ Paleologhi, Teodoro, per sin dimenticati i riguardi e al grado, e all’età dovuti, la fe’ mettere fino al collo entro un sacco insieme a diversi gatti, delle quali bestie veniva aizzato a punture di spille il furore. [A. D. 1259] Giunto agli ultimi del viver suo questo Principe, mostrò rincrescimento delle passate crudeltà e desiderio con successivi atti clementi di cancellarle. Lo crucciavano ad un tempo i pensieri di un figlio che non avendo più di otto anni, egli vedeva avventurato ai pericoli di una lunga minorità; ne confidò pertanto la tutela alla santità del patriarca Arsenio, e al valore di Giorgio Muza-

    fermezza nel ricevere le percosse, e della rassegnazione con cui si allontanò dal Consiglio fino al momento di venire richiesto di nuovo. Continua indi dal cap. 53 fino al 74 della sua Storia, narrando le geste di Teodoro e i successivi servigi che gli prestò. V. il terzo libro di Niceforo Gregoras.