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libro primo - capitolo nono 273


si ricorre a una via di mezzo che soddisfaccia a tutti. Oltre che, tanta era l’urgenza della lega per l’acquisto dell’indipendenza, il mantenimento degli statuti e la difesa dei principati che, se Roma ripugnava a mitigare prontamente i capitoli, si doveano accettare come provvisionali, riserbando con articolo apposito al fine della guerra la revisione di essi e l’ordinamento di un nuovo patto. Dunque l’autonomia del Piemonte non fu altro che uno dei soliti pretesti con cui i ministri coprirono le loro bieche intenzioni. La vera causa o almeno la principale si è che la confederazione, collegando tutte le forze italiane, gli obbligava a rappiccare la guerra e toglieva loro ogni ordine di rifiutarla; e anche un semplice congresso in Roma, accendendo gli spiriti patri, potea partorire il medesimo effetto.

Si dirá forse che i ministri attennero la loro parola, surrogando al Rosmini il Deferrari per conchiudere un’«alleanza offensiva e difensiva»?1. Ma essa non potea equivalere alla confederazione e dovea differirne sostanzialmente; ché altrimenti non saria stata introdotta in suo scambio. Ora un’alleanza diversa dalla confederazione non era in grado di fare gli stessi effetti e sortire l’intento che i savi ed i buoni desideravano. Antonio Rosmini ne avvertí «ripetutamente» i ministri, provando loro «che il progetto di una tal lega non si sarebbe potuto accettare dai governi italiani, perché con esso l’Italia non veniva costituita in nazione come si bramava, e quindi non sarebbe stata mai l’Italia che avrebbe dichiarata e fatta la guerra all’opportunitá per la propria indipendenza, giacché l’Italia senza una vera confederazione non avrebbe avuta esistenza politica2. Oltre che, una lega di tal fatta non agevolava il concorso di Roma alla guerra, essendo che il papa avea scrupolo di partecipare a una presa d’armi direttamente. Per ultimo un’alleanza diversa dalla confederazione, che non conferisse alla tutela dell’indipendenza e degli statuti e non si stendesse a tutti i principi nostrali, non era quella che il pubblico intendeva sotto il

  1. Farini, op. cit., t. ii, pp. 376, 377.
  2. Lettera dei 30 di ottobre 1848, presso il Farini, loc. cit., p. 376.
V. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia - i. 18