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libro primo - capitolo decimo 313


pubblico statuto ciò che dianzi era voto popolare e scientifico asserto; tanto che i concetti filosofici e cristiani si travasano in corso di tempo dall’etica nel diritto. Ora fra le idee non ancora legittimate ai convegni ed accordi che stringono i popoli, rilevantissima è quella dell’essere nazionale, nata dal corso spontaneo dell’incivilimento e dal pervenire degli Stati a grado di maturezza. Non è forse lontano il giorno in cui questa idea sará la base dei trattati e l’anima di una nuova politica europea; e giova sin d’oggi l’intrometterla nei discorsi e nei negoziati, per avvezzarvi gli orecchi sdegnosi dei potenti e agevolarla a pigliar corpo nelle stipulazioni. La qual cosa a niuno dee premere quanto agl’italiani, il cui riscatto dipende dal sormontare di tal principio, e in ispecie ai piemontesi, se non si stimano indegni dell’ufficio egemonico, preludendo colle idee alle armi e coi diplomi alle imprese. Né importa che il Piemonte sia piccolo, perché l’autoritá e la fama degli Stati dipendono dalla saviezza e non mica dalla tenuta. Prudenza, costanza, energia rendono grandi e riveriti eziandio i piú piccoli domini, qual si era il prussiano sotto Federigo e il fiorentino sotto Lorenzo, il quale primeggiava di credito pel senno come l’altro per la bravura. Uno Stato che può armare in caso estremo cencinquanta mila uomini, che pel sito è la chiave d’Italia e può sfidare dalle sue vette e dalle sue gole l’Europa, è in grado di parlare autorevolmente e di recar colle parole e coi fatti un peso notabile nella bilancia politica delle nazioni. E oggi piú ancora che in altri tempi, perché la forza essendo cosa relativa, tanto è piú facile ai piccoli il vigoreggiare quanto piú i grandi si abbiosciano e fra loro gareggiano d’imperizia o d’ignavia, come ora incontra agli Stati piú insigni del continente.

Riassumendo il discorso intorno ai governi municipali e conservatori del Piemonte di cui ho abbozzata rapidamente la storia, giova il notarne le somiglianze e le differenze. Vizio comune fu l’inerzia, la lentezza, l’oscitanza, il difetto di operositá civile; nate in parte dalle personali abitudini dei rettori, in parte da difetto di antiveggenza, attesoché chi non vede le cose innanzi che accadano si lascia portare agli eventi ed al caso in vece