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capitolo decimoterzo 121


in parole ci strazia colle opere e ci corrompe con pessimi esempi? I nostri antichi ben fecero ad aver cara un’instituzione che, se non sempre, sovente almeno predicava coi fatti la caritá e la giustizia e abbracciava animosamente la causa degli oppressi. Ma il papato moderno è in lega perpetua cogli oppressori e oppressore egli stesso: attende di continuo a cure profane e mondane di privilegi, d’interessi, di giurisdizioni; trasanda la legge evangelica, permette che la religione di Cristo traligni in farisaismo, presta facile orecchio ai faziosi che abusano l’autoritá sua a danno e discredito degl’innocenti; e quel poco che fa di sacro, versa per lo piú intorno a certi accessori di astruserie teologiche e di divozioncelle, che fruttano assai meno alle anime che ai gesuiti. Ora non è verosimile che un tale instituto sia opera divina, e che rendendoci miseri in terra ci possa fare beati in cielo. A che dunque serbare nel cuor d’ Italia un verme che la divora? Perché non imiteremo quei popoli di oltremonte e di oltremare che da secoli scossero l’indegno giogo, e specialmente quegl’inglesi la cui florida grandezza cominciò col divorzio da Roma? — Io ricordo senza scrupolo tali bestemmie, perché se grave duolo ne arreca l’udirle, a maggior danno tornerebbe il trascurarle. Le quali giá suonano sulle labbra di molti: giá per noi ricominciano gli anni anteriori alle riforme del Tridentino, quando uomini generosi e illibati, che uno sdegno fierissimo spingeva lungi dalla patria loro, scambiavano colle credenze di Vittemberga e di Ginevra i riti augusti di Roma. Non passa quasi giorno che tali esempi non si rinnovino in qualche parte della penisola; e ciò che ora si fa dagl’individui, col tempo si fará dai popoli. Che se i buoni cattolici hanno in orrore tali discorsi, quanti sono al di d’oggi i buoni cattolici? Certo la virtú vera, come ho giá detto, non è spenta in Roma e il papato non è sindacabile delle colpe degli uomini e della tristizia dei governi. Ma il volgo misura le cose dalle apparenze, e gli enormi disordini di Roma temporale, dando negli occhi a ciascuno, oscurano ogni merito e avviliscono ogni pregio. II cattolicismo non verrá meno, perché le divine promesse sono immortali. Ma non vi ha parola che ne assicuri il possesso perpetuo all’ Italia; e questa può perderlo,