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10 del rinnovamento civile d'italia


quando mi separava da’ miei colleghi dei io di dicembre, ero zimbello dei diplomatici e dei gesuiti, e i puritani gridarono che il mio astro era ecclissato. Ma Roma e Novara rispondono agli amici della mediazione e ai nemici dell’intervento; e queste pagine forse chiariranno gli altri che io posso ancora abbagliare le loro luci da pipistrelli.

L’onore di aver dato al Piemonte il primo saggio di un governo veramente nazionale toccherebbe a Cesare Balbo, se il merito di aver cominciata la guerra non fosse contrappesato dal grave torto della disdetta confederazione; onde si vede che gli mancò il concetto dell’egemonia sarda1. I soci di Gabrio Casati s’ingegnarono di colorirlo; ma il breve tempo che stettero in seggio, la perfidia dei municipali e le altre cause accennate di sopra tolsero loro il potere di fare il bene e di riparare ai sinistri. Caduti i successori per propria imperizia piú che per altro2 e commessomi dal re il carico, io mi proposi di creare un’amministrazione nazionale da ogni parte, che, per quanto era possibile, governasse non solo il Piemonte ma l’Italia. L’elezione dei mezzi e degli uomini dovea essere misurata dal fine, il quale era doppio: cioè l’indipendenza d’Italia e la difesa del principato civile come unica forma allora possibile di libertá. Se non che i due intenti tornavano ad un solo, giacché il primo non si poteva conseguire senza il secondo. Erano prostrate le armi, scorato l’esercito dai recenti disastri; Toscana e Roma agitate, sconvolte, licenziose, impotenti; Pio fuggitivo, Leopoldo



  1. Nell’Apologia (p. liii) io chiamai «nazionale» il ministero del Balbo, avendo l’occhio alla guerra e non potendo prevedere in alcuna guisa che l’autore delle Speranze e il promotore della lega doganale avrebbe rifiutata la lega politica.
  2. Anche senza la mia opposizione il ministero dei i9 di agosto sarebbe caduto; poiché, fallita la mediazione, ridotto a poche voci il favore del parlamento e scoppiati i tumulti di Genova, era impossibile che durasse. E gli sarebbe del pari sottentrato un ministero democratico, che, non essendo capitanato da un uomo energico e risoluto di salvare il principato civile a ogni costo, sarebbe stato tratto dai puritani nella via medesima dei governi di Toscana e di Roma. La debolezza e l’imprevidenza, di cui i miei colleghi democratici fecero segno in appresso, rendono molto probabile questa conghiettura. Ora se Torino avesse seguito l’esempio di Roma e di Firenze, l’effetto ultimo sarebbe stato il medesimo, cioè l’abrogazione dello statuto.