Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/321

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Comuni inglesi, che «i principi oltramontani [leggi «romaneschi»] sono pregni di pericoli per la libertá di tutti gli Stati europei» <0. Chi non sa che la ressa accanita nell’oppugnare la Siccardiana mosse assai meno da desiderio e speranza di mantenere in Piemonte un privilegio abolito eziandio nei paesi piú infervorati del culto cattolico, che dal pietoso intendimento di scalzare e indebolir lo statuto, rendere esosa quella provincia ai governi retrogradi, porgere all’Austria un pretesto pinzochera d’ingerirsi, accender le discordie e la guerra civile? Tanto a Roma dispiace che in un angolo d’ Italia sopravviva e dia luce una favilla di libertá. Ora i governi, essendo custodi dell’autonomia propria e di quella della nazione, hanno il debito di procurare e mantenere diligentemente l’inviolabilitá del temporale, come di un bene di cui non sono arbitri ma depositari, ripigliandosi quelle parti di esso che furono per l’ignoranza dei secoli addietro usurpate dai chierici, o pei bisogni e la cultura imperfetta spontaneamente concedute. Tali sono l’educazione e l’instruzione cittadina, il contratto matrimoniale, il pubblico feriato dei giorni festivi, i funerali e la sepoltura civile, le manimorte del clero secolare e regolare, e simili materie, che per sé non appartengono alla giurisdizione ecclesiastica e sono il naturai compimento della legge vinta da Giuseppe Siccardi. Né si può far buona con Giacomo Antonelli contro tali riforme l’autoritá dei concordati che precorsero gli ordini liberi; i quali, mutando essenzialmente la forma dello Stato e avendo forza di legge fondamentale, derogano per natura (ancorché non lo esprimano) agli statuti precedenti che loro ripugnano.

Finché Roma avrá uno Stato e una corte, ella non sará mai disposta a riconoscere la veritá di questi principi e ad ammetterne le conseguenze o almeno a tollerarle, se non costretta dal contegno dei governi civili. La fermezza sola può espugnare la pertinacia di Roma; laddove gli ossequi, le dolcezze, le condiscendenze non che raumiliarla la fanno inalberare ed insuperbire. Né si debbono temer le censure, le scomuniche,

(i) Nella tornata dei 5 di febbraio 1851.