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LIBRO SECONDO - CAPITOLO SESTO 11


«borghese», donde in appresso si rifornirono eziandio i ceti più illustri a mano a mano che i spen e il sangue degli antichi conquistatori, i quali nella loro origine furono plebe ancor es i. Cosicché l ingegno, o sia borghese o patrizio, deriva non meno che la classe colta fontalmente dal popolo. Ma questa classe, che a principio è l’eletta degli uomini ingegnosi, a poco poco dall’ingegno si apparta, imperocché in successo di tempo, i più de’ suoi membri facendone parte non per propria industria ma per benenzio di nascita e di fortuna, e ai privilegi di queste non rispondendo i doni di natura, la nobiltà e la borghesia si trasformano in volgo dalla massa del quale emergono alcuni ingegni privilegiati, quasi lampio o meteore nel buio notturno. «Volgo» nella buona lingua non è sinonimo di «popolo», e il popolo non è volgo, benché bbia il suo volgo; onde un classico scrittore dice di uno, che era «molto nel volgo del popolo» (1), e chiama «volgari» i dappochi di ogni ordine cittadi nesco (2). «Volgo» insomma è ogni moltitudine scompagnata dall’ingegno; e perciò vi ha un «volgo censito e patrizio» (3), come un volgo plebeio. Appartenendo l’ingegno, in quanto è culto ed ingentilito, alla classe media, questa coopera colla plebe a crear la democrazia, come la borghesia e la plebe fanno il popolo. Ma in questa coefficienza la plebe interviene come classe, perché il sentimento è sempre collettizio: non così il ceto colto, atteso che l’ingegno è per natura individuale e singolare. Anzi la massa di questo ceto è quasi un capomorto più di utile che proficuo, essendo mediocre o nulla d’intelletto, corrotta di cuore, scandalosa di vita, incapace di presentire il vero e augurare il futuro per intuito come la plebe, e di preconoscerli come l’ingegno per riflessione; onde è sterile di bene e più atta ad impedire che a fare. Epperò nel suo grembo le sètte negative e sofistiche sogliano racimolare il novero della loro milizia.

(1) Compagni, Cron., 3. (2) Ibid., passim. (3) FOSCOLO.