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180 | del rinnovamento civile d’italia |
gl’induce a credere, e non a torto, di poter signoreggiare gli eventi ed esser arbitri della fortuna. L’attivitá genera la velocitá, che è di due specie: l’una consiste nei pensieri e l’altra nelle operazioni. La prontezza dell’avviso, che i francesi con bella metafora chiamano «presenza di spirito», si appalesa sovrattutto nei cimenti, fra i quali gli animi deboli «fuggono», come dir, da se stessi1. Laddove i forti, padroneggiando i propri affetti, serbano integro l’uso di tutte le potenze; e quando il loro ingegno è «svegliato e abbondante di partiti»2, non vi ha quasi disastro o pericolo anche repentino a cui non trovino rimedio. Da tali due parti, che Giulio Cesare avea in grado eminente, nasceva la sua fiducia nell’affrontare i rischi e la sua sicurezza nei casi presso che disperati. «Il suo stile — dice Giovanni Muller — rende imagine del suo animo; il quale, benché tempestato dagli affetti piú ardenti, non ne facea di fuori alcun segno; ma, tranquillo e sereno, avresti detto che sovrastesse a tutte le cose terrene, e che niuna di esse fosse degna di muoverlo, come si crede degl’immortali»3. Pel vigore dell’animo Plinio lo paragona alla fiamma: «proprium vigorem, celeritatemque quodam igne volucrem»4. E chi piú veloce e impetuoso nell’eseguire?
- ↑ «L’animo mio ch’ancor fuggiva» (Dante, Inf., i, 25). «Le fuggi l’animo» (Boccaccio, Decam., viii, 7).
- ↑ Cellini, Orific., ii, 2.
- ↑ Lettres, Paris, 1811, p. 184.
- ↑ Hist. nat., vii, 25. Vedi altri passi citati in Prolegomeni, pp. 324, 325 note; Gesuita moderno, t, iv, pp. 128-32.
i battri, gli afgani, va nel cuore dell’Asia per apprendere il tibetano e recarne la filologia in Europa. Da Lih nel Tibet inferiore passa a Kanúm e c’incomincia sotto la guida di un lama o sacerdote samaneo lo studio dell’ignota lingua. Fu veduto attendervi di fitto verno in una misera capannuccia, si mal difesa dagli stridori ch’ei non potea cavar di seno la mano senza rischio di agghiadare e rimanere monco. Dopo quattro anni passati in tali fatiche, si trasferisce in Calcutta, pubblica una grammatica e un dizionario tibetano, fa un sunto dell’immensa raccolta dei libri sacri dei buddisti; e fra lavori cosi ingrati, non che pigliarsi il menomo spasso e diporto, non esce pure di cella. Finalmente nel 1842 si rimette in via alla volta del Tibet per farvi nuove ricerche; ma la disfatta salute non gli permette di arrivarci e muore per viaggio (Revue des deux mondes, Paris, 1847, t. xix, pp. 50, 51, 52). Il Mohl (Journal asiatique, Paris, juin 1842, p. 492) e il Foucaux nella sua dotta traduzione del Latita Vistara (Rgya Tch’er rol pa, Paris, 1848, pp. 1-11) toccarono brevemente dei lavori del Csoma.