Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/19

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corruzione, e quindi ha questa proprietá (come vedremo): che seconda la plebe ma non l’adula, riceve i suoi influssi ma senza detrimento dell’autonomia propria, e insomma è democratico, non demagogico né licenzioso. Senza questa conditura, la plebe traligna da se stessa e si rende volgo; e il volgo nelle sommosse diventa plebaglia discola, bestiale, furiante, di ogni eccesso commettitrice. La qual corruzione è facile, perché la parte spirituale, direi cosi, della moltitudine, mancando di guida e d’interprete, resta al di sotto, e prevale la parte materiale, cioè la forza: gl’istinti ferini si destano, e se trovano chi con arte gli attizzi e li nutra, salgono al colmo e fanno effetti dolorosi e spaventevoli.

Giova però avvertire a onor della plebe che i corruttori di essa, notati dagli antichi sotto il nome di «demagoghi» (0, per ordinario non le appartengono. I Cleoni, i Catilini, i Clodi, i Fieschi, i Vacheri sogliono uscire dai ceti illustri o mezzani, quando questi, essendo pervenuti al sommo della depravazione, guastano l’ingegno medesimo e lo rivolgono a corruttela degli ordini inferiori. Omero pennelleggiò la corruzione plebeia nel personaggio di Tersite descrivendolo contraffatto, come la tradizione e l’iconografia rappresentano Esopo, il quale idoleggia il buon genio del basso popolo, come Tersite il cattivo. Ma colle figure d’Iro, di Melanzio e di Melanto volle significare come la minutaglia inietta venga prodotta e alimentata dal vizio dei maggiorenti. Né è da maravigliare se la plebe, che ha dell’angelo, abbia eziandio del bruto; perché, come potenza e senso universale, ella è, si può dire, ogni cosa e spicca nel pessimo come nell’ottimo. Anche da questo lato la plebe somiglia alla donna, in cui il male come il bene suole eccedere e vincere di squisitezza il solito dell’altro sesso. Il nobile istinto della compassione, secondo Tacito, può davvantaggio negl’ infimi ( 1 2 ); e Aristotile insegna che i piú compassionevoli sono si quelli che «son deboli e vili», si quelli che «son dotti, perché di

(1) Arist., Polii., vi, 4, s, 6; vili, 4, 1-6.

(2) «Sola misericordia valebat, et apud minores ruagis» (Ann., xv, 16).