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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/20

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14 del rinnovamento civile d’italia


buon sentimento»1; dove è da notare l’accordo della plebe e dell’ingegno negli affetti benevoli. Ma esso Tacito osserva altrove che «il volgo, tosto mutandosi, corre alla misericordia quanto s’era versato nell’ira»2, perché accoglie in se stesso i due estremi e salta dall’uno all’altro senza adagiarsi nel mezzo per manco di euritmico temperamento. Ora, siccome la virtú creatrice è il principio della dialettica universale, cosi la forza dell’ingegno introduce l’armonia nelle turbe, svolgendone le buone parti e informandole colla mentalitá propria. La plebe stessa ha per lo piú coscienza di questo suo bisogno; laonde, se non è corrotta o sviata, riconosce gli spiriti pellegrini senz’ombra di gelosia e d’invidia: sente che essi sono i suoi capi e interpreti e duci naturali, e gli osserva, ubbidisce, ammira spontaneamente, come un esercito non guasto e guidato da un uomo grande adora con entusiasmo l’eroe nel capitano.

La plebe e l’ingegno essendo i due coefficienti della democrazia, il loro divorzio è contro natura; e tanto è assurdo il voler creare e disciplinare un popolo coll’ingegno senza la plebe, quanto il prometterselo colla plebe senza l’ingegno. E pure la prima di queste pretensioni non è rara fra i conservatori; e la seconda, comune ai retrivi e ai municipali, alberga di frequente eziandio tra i democratici. Ma l’ingegno, dovendo uscir dalla plebe in quanto ne trae i suoi migliori afflati, e rinvertire ad essa perché ha il debito d’ informarla e perfezionarla, se mai se ne apparta, sterilisce e si rende inutile, come un re senza sudditi e un caposquadra senza soldati. Ridotto solo e foresto, per lo piú ignora se stesso, o gitta un vano chiarore e non fa nulla di giovativo, di stabile, di efficace, come quegl’intelletti ombrosi e restii, che nella speculativa o nella pratica vanno a ritroso del secolo. Quali furono testé in religione e in politica Giuseppe di Maistre e il Buonaparte; il primo dei quali colla penna volle ricacciar gli uomini ai tempi di Gregorio settimo, e il secondo colla spada a quelli di Carlomagno. Infelici stiliti, che grandeggiano nella



  1. Rhet., ii, 8 (traduzione del Caro).
  2. Hist., i, 69 (traduzione del Davanzati).