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libro secondo - capitolo nono | 191 |
Gite, o superbi, ornai col viso altero, |
gridava il Machiavelli1. Il difetto di antiveggenza è la miopia politica; come l’antiveggenza è la divinazione, mediante la quale l’ingegno preoccupa il disegno divino nelle cose umane e studia di conformarglisi. Per tal modo egli riesce, partecipando, se cosí posso esprimermi, alla fortuna di Dio e alla teleologia dell’universo.
Ma non basta il conoscere le occasioni e anco l’adoperarle, se non si fa con prestezza e risoluzione, la quale è un’altra proprietá di chi è da natura destinato alle cose grandi. Gli ingegni anche non comuni talvolta ne mancano, come si narra di Tiberio2; e per contro i volgari spesso ne abbondano. Imperocché «la ragione e l’immaginativa creano mille dubbietá nel deliberare e mille ritegni nell’eseguire. I meno atti o meno usati a ponderare e considerare seco medesimi, sono i piú pronti al risolversi e nell’operare i piú efficaci». Laddove i grandi, «implicati continuamente in loro stessi e come soverchiati dalla grandezza delle proprie facoltá e quindi impotenti di se medesimi, soggiacciono il piú del tempo all’irresoluzione, cosí deliberando come operando; il quale è l’uno dei maggiori travagli
- ↑ Decennali, 2. «Io credo che l’ufízio di un prudente sia in ogni tempo pensare quello gli potessi nuocere e prevedere le cose discoste, ed il bene favorire ed al male opporsi a buon’ora» (Id., Lett. fam., 18). Altrettanto egli insegna nel terzo e nel decimoterzo del Principe e in parecchi luoghi dei Discorsi e delle Storie.
- ↑ «Ut callidum eius ingenium, ita anxium iudicium» (Tac., Ann., i, 80).