Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/94

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La scuola italiana è oggi quasi spenta per la viziosa abitudine invalsa di peregrinar dalla patria colla mente e colle dottrine. Egli è dunque mestieri ravvivarla e quasi rifondarla, affinché serva di preambolo e di strada al Rinnovamento. Questa seconda fondazione ricerca innanzi tratto che si conoscano e si studino le tradizioni di essa scuola, giacché un capitale morto non si può far vivo ed accrescere se non da chi lo possiede ed è in grado di maneggiarlo. La cognizione dell’antichitá e quella dei nostri insigni scrittori, che è quanto dire gli studi classici, sono adunque la base preliminare dell’opera. Niuno speri procacciarsi l’italianitá senza di essa, giacché il pensare e il sentire italiano non si acquistano se non mediante una lunga e intima dimestichezza coi nostri padri e col «trasferirsi tutto in loro», secondo la frase energica del Machiavelli W. Oltre che, la pristina sapienza non è cosa triviale, come alcuni credono, anzi ha molto del peregrino, atteso che, come avverte il Leopardi, ci «resta ancora molto a ricuperare della civiltá degli antichi, per guisa che i moderni, dicendo di acquistare, solamente ricuperano parte del perduto» (*), specialmente per ciò che riguarda l’educazione, il costume e i vari pregi dell’uomo civile-.

Né però la scuola italiana del Rinnovamento dee restringersi alle idee dei tempi andati : non dee essere la scuola di Pericle, di Cicerone, di Tacito, di Dante, del Machiavelli, del Sarpi, dell’Alfieri, del Romagnosi, ma si bene rispondere ai concetti, ai desidèri, ai bisogni, ai progressi, alle specialitá proprie dei nostri giorni. Conciossiaché l’etá in cui siamo è la nostra modernezza: tutti gli anni che precedettero sono antichi rispetto a noi. Se non viene informato da questa modernitá viva, lo studio dei classici e delle tradizioni è un nobile diletto, una gentile erudizione, una suppellettile letteraria e archeologica da antiquari e da umanisti, ma è inutile per la vita pratica. A rendere, dirò cosi, nuova e moderna, e far fruttare la notizia

(1) Lett. /am., 26.

(2) Epistolario, t. Il, pp. 127, 4.12.