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Fioraccio 145


— Ad andar lì da Fioraccio, otto a tutti, nove a qualcheduno, e dieci a nessuno. —

Allora non ci erano i finanzieri come ora. Di resti in bottega sua non se ne discorreva mai, non ce ne aveva mai spiccioli, e se alcuno gli faceva qualche osservazione poteva star sicuro d’esser trattato male. Perciò in quella bottega non c’erano mai le furie, e non c‘era pericolo che Fioraccio si sudasse a servir gli avventori. Ma si confondeva poco.

— Se non ci vengono, mi fanno un piacere! Così non mi sfatico!

Tanto la bottega del pane e delle paste era la copertina di quell’altra, che v’ho detto. Ma, basta ci fosse qualcosa di buono da fare, per vedere se si metteva a durar fatica, se si alzava anche la notte, e se sarebbe stato anche senza andare a letto! Altrimenti se ne stava tutto il suo santo giorno a sedere sull’uscio della bottega a dare la carica a quanti passavano, e uomini o donne, ragazze o maritate, ce n’era per tutti. Egli non conosceva nè Pasqua nè solennità, per lui tutti i giorni erano eguali. Se davanti a casa sua passava la Comunione, non c’era pericolo che si levasse la pipa di bocca, o si alzasse da sedere: allora sì che pipava forte, si vedeva proprio lo spregio. Non voleva sentir parlare nè di Santi nè di Madonne, e quando il prete andava a dar l’acqua benedetta e che gli domandava: