Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
satire | 67 |
SATIRA SETTIMA.
L’ANTIRELIGIONERIA.
... τὸν ἄνθρωπον ἄγχειν βούλομαι, Ὅς τις ποτ’ ἔσθ’ ὁ τοὺς θεοὺς ἀποτειχίσας. |
Aristofane, Uccelli, v. 1575. |
Vo’ soffocar, qual ch’ei pur sia, Costui Che con un muro appartò l’Uom dai Numi. |
Con te, Gallo Voltèro, e’ Voltereschi
Figli od aborti ciancerelli tanti,
Convien che a lungo in queste rime io treschi.
Che l’una Setta all’altra arrechi pianti,
E (qual «d’asse si trae chiodo con chiodo»)
Donde un error si svelle, altro sen pianti;
Il Mondo è vecchio, e tal fu ognor suo modo:
Ma, senza edificar, distrugger pria,
Questo prova il cervel Gallico sodo.
Chiesa e Papa schernir, Cristo e Maria,
È picciol’arte: ma inventarli nuovi,
E tali ch’abbian vita, altr’arte fia.
Qui dunque intenso argomentar mi giovi,
Sì ch’io dimostri te, Profeta quarto,
Vie più stupido assai degli Anti-Giovi.
Le antiche Sette a noi men note io scarto;
E alle tre vive (abbrevïando il tema)
Quest’Uccisor di tutte Sette inquarto. —
Mosè, cui vetustà pregio non scema,
Fea di cose politiche e divine
Tal fascio, che in qual vinca è ancor problema.
Dava al servaggio del suo popol fine,
E in un principio all’alto esser novello
Che a scherno prese i secoli a decine.
Feroce impulso, e in ver da Dio, fu quello
Che, propagato in tante menti e etadi,
Sta contro al tempo, a novità rubello.
Son gli apostati e increduli assai radi
Infra’ Giudei, benchè Mosè fallito
Al tristo loro stato omai non badi.