Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/353

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UNA VECCHIA AMICIZIA TRONCATA

nuti, l’altra per la magistratura. In quella della magistratura si trovano due stanze nitide, imbiancate: una è l’anticamera per i postulanti, nell’altra c’è un tavolo, adorno di macchie d’inchiostro; sul tavolo c’è uno specchio; quattro sedie di legno di quercia con le spalliere alte; lungo le pareti sono delle casse cerchiate di ferro, in cui si conservavano a pacchi le carte delle liti giudiziarie. Sopra una di quelle casse si trovava allora uno stivale lustrato con la cera.

La seduta era già cominciata di buon mattino. Il giudice, un uomo piuttosto pingue, per quanto un po’ piú sottile di Ivan Nikiforovic, con una cera bonaria, con una zimarra bisunta, con la pipa e una tazza di tè, faceva conversazione col sostituto. Il giudice aveva le labbra attaccate immediatamente sotto il naso, e perciò il suo naso poteva fiutare il labbro superiore quanto gli piaceva. Quel labbro gli faceva anche da tabacchiera, perché il tabacco destinato al naso quasi sempre si depositava sul labbro. Cosí, il giudice conversava col sostituto. Una ragazza scalza teneva da un lato un vassoio con le tazze. All’estremità della tavola il segretario leggeva la sentenza di una causa, ma con una voce cosí monotona e piagnucolosa, che lo stesso accusato si sarebbe addormentato, se fosse stato a sentirlo. Il giudice, senza dubbio, si


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