Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/374

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GOGOL

fanteria che non c’era verso riuscisse a superare un gradino con un sol passo.

— Auguro il buongiorno al caro amico e benefattore Ivan Ivanovic! — rispose il prefetto.

— Per carità! mettetevi a sedere. A quel che vedo, voi siete stanco, perché la vostra gamba ferita dà fastidio...

— La mia gamba! — gridò il prefetto gettando su Ivan Ivanovic uno di quegli sguardi che può gettare un gigante su un pigmeo, un dotto pedante su un maestro di ballo.

Intanto egli distese la gamba e batté il piede a terra. Questa prodezza, a dire il vero, gli costò cara, perché tutto il suo corpo traballò e il suo naso picchiò nella balaustra; ma il saggio sorvegliante dell’ordine, per non farsi scorgere in alcun modo, subito si raddrizzò e si cacciò una mano in tasca, con l’atto di cercare la tabacchiera.

— Io vi riferirò di me, caro amico e benefattore Ivan Ivanovic, che io ho compiuto in vita mia ben altro che tali spedizioni! Sí, sul serio, ne ho fatte! Per esempio, durante la campagna del 1807... Ah; vi racconterò in che modo io mi cacciai attraverso una siepe per raggiungere una tedesca belloccia. — Nel dir cosí il prefetto strizzò un occhio e fece un sorriso furbo e diabolico.


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