Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/367

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IL PRODIGO 313


Momolo. Cara Colombina, ve voria pregar de un servizio....

Colombina. Sì, certo; mi preghi, che ho motivo di far di tutto pel mio padrone, così caro, così generoso! È vero che sono una serva, ma non sono poi da disprezzare così. Donarmi un anello, che non era suo, per mettermi in un impegno da comparire una ladra, o una poco di buono? Mi maraviglio di lei. Si provveda, che io in casa sua non ci voglio stare; e quest’affronto me lo ricorderò fin ch’io viva, e farò tanto, che spero un giorno di vendicarmi e fargli vedere che, sebbene sono una donna ordinaria, ho spirito per rifarmi di una azione così cattiva. (parte)

SCENA IX.

Momolo, poi Celio.

Momolo. Mi resto incanta, e no so più cossa dir. Adessadesso anca i villani me bastona, e i cani me vien a far sporco adesso.

Celio. Signor cognato, alle corte, o pensate ad assicurare i miei crediti, o farò i miei passi, e con tutta la parentela vi farò cacciare in prigione.

Momolo. A mi, sior cugnà?

Celio. Sì, a voi, che non contento di quello che mi avete cavato dalle mani, vi prevalete della dabbenaggine di mia moglie, sino per ispogliarla della roba sua. Ma che dico della roba sua? della roba mia. Quest’anello mi costa cento zecchini, e voi, pazzo, insensato, lo donate alla vostra serva? Corda, ospitale, catene. (parte)

SCENA X.

Momolo, poi Truffaldino.

Momolo. Corda, ospeal, caene! son in stato da far un lazzo e picarme. Son desperà; e per cossa? per esser troppo generoso. Ah, pur troppo xe vero quel che cento volte me xe sta dito; no son generoso, son prodigo. No dono, ma butto via, i mi interessi xe in precipizio, e se perdo la causa, e se