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358 ATTO PRIMO


Aurelia. Come no? Non sono io vostra moglie?

Pantalone. Pur troppo, per mia desgrazia.

Aurelia. Anzi per mia malora.

Pantalone. Sia pur maledio co v’ho visto.

Aurelia. Maledetto pure quando vi ho conosciuto.

Pantalone. Vu sè stada causa del mio precipizio.

Aurelia. Voi siete stato la mia rovina.

Pantalone. Zoggie, abiti e conversazion.

Aurelia. Donne, tripudi e giuoco.

Pantalone. Nissun sa quanto che abbia speso in do anni per la vostra maledetta ambizion.

Aurelia. E la dote che vi ho portato?

Pantalone. Certo! una gran dote! Sie mille ducati, mezzi se pol dir in strazze e mezzi un pochi alla volta, che no me n’ho visto costrutto.

Aurelia. Al giorno di oggi con seimila ducati le mogli pretendono dalla casa la gondola con due remi.

Pantalone. Sì ben, xe la verità. Le putte, co le se marida, le rovina do case: quella de so pare e quella de so mario.

Aurelia. Orsù, qui non vi è riparo ai vostri disordini: fate di voi tutto quel che volete, ma prima pensate ad assicurarmi un mantenimento onesto e decente alla mia condizione, ed alla dote che vi ho consegnato.

Pantalone. Per mi ho fenio la roba e ho fenio i pensieri. Me inzegnerò de viver mi alla meggio che poderò. Per el resto ve dirò quel bel verso: ogni un dal canto suo cura si prenda.

Aurelia. Ecco qui quel che ho avanzato a sacrificare la mia gioventù con un vecchio.

Pantalone. Dovevi lassar star de farlo; mi no v’ho obbliga, mi no v’ho pregà.

Aurelia. Mio padre è stato causa del mio precipizio.

Pantalone. Fe cussì: andè in casa de vostro pare e fe che lu ghe rimedia.

Aurelia. Bell’onore di un marito civile, rimandar la moglie in casa del padre, dopo averle consumata la dote.