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LA DONNA DI GARBO 457


Beatrice. Sarà invidiato il mio nome per tutti i secoli.

Lelio. Deh, madama, ponete al cimento l’affetto mio, ponete l’oro della mia servitù nella coppella de’ vostri cenni, e vedrete la purezza del mio metallo.

Beatrice. Signor Lelio, volete che ci divertiamo?

Lelio. Dipendo da’ vostri arbitrari voleri.

Beatrice. Eh là, Rosaura1.

SCENA II.

Rosaura e detti.

Rosaura. Che comanda la mia signora padrona? Oh, con che bella compagnia la ritrovo! Invero non si può fare di più. Il signor Lelio ha la beltà nel volto, la grazia negli occhi, l’affabilità nel tratto (e la pazzia nel cervello). (piano a Beatrice)

Beatrice. (Costei mi fa crepar dalle risa). (da sè) Orsù via, preparaci da giocare.

Rosaura. A qual gioco, signora?

Beatrice. A quello che più aggrada al signor Lelio.

Lelio. Piace a me ciò che piace a madama.

Beatrice. Sta a voi lo scegliere.

Lelio. Mi meraviglio.

Beatrice. Rimettiamoci in Rosaura; scelga ella il giuoco. Siete contento?

Lelio. Contentissimo.

Rosaura. Vorrei pur scegliere un giuoco degno di un sì peregrino talento. Potete giuocare a scacchi, il qual giuoco fu instituito da Palamede, per trattenere gli stanchi e nauseati guerrieri all’assedio di Troia; guardatevi però, signore, che madama non vi dia scacco matto. Volete giocare a dadi? Il gioco non è vile, si dilettò con esso Domiziano imperatore, Enrico re d’Inghilterra, ed era l’usato trattenimento de’ Corinti. Se questo non

  1. La fine di questa scena e il principio della seguente, com’è nelle edizioni Bettinelli e Paperini, vedi in Appendice.