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488 ATTO TERZO


Dottore. Lo senti? A tua confusione tutti l’approvano. Brighella, falla venire.

Brighella. La servo subito, sior patron; a mi no me tocca parlar, ma la creda che Rosaura l’è una donna de garbo. (parte)

Arlecchino. (uscendo di sotto al tavolino) Sior sì, l’è vera; lo confermo anca mi.

Dottore. Va via, cosa fai tu qui?

Arlecchino. (Vuol andar via: non trova luogo, essendo tutto chiuso dalle sedie, fa cader Lelio, e parte)1.

Florindo.(Come mai costei in si poco tempo s’acquistò l’amore, e la parzialità di ciascuno?) (da sè)

Isabella. (Quanto mi spiace che colei abbia a esser presente!) (da sè)

Florindo. Giacchè ognun si contenta, anch’io m’accheto. Venga pure. (Conviene dissimulare). (da sè)

SCENA VII.

Rosaura e detti.

Rosaura. Onorata da grazie non meritate, vengo piena di confusione e rossore. Siate certi, o signori, ch’io non saprò abusarmi della vostra generosa parzialità; e che conoscendo me stessa, non crederò mai di meritare ciò che da voi mi viene generoscimente concesso.

Dottore. Si può dir meglio?

Ottavio. Venite qui presso di me.

Rosaura. Volentieri. Con licenza di lor signori. (siede presso ad Ottavio)

Ottavio. Avete inteso? l’era il terno nella Cabala, e non l’ho saputo trovare. (piano a Rosaura)

Rosaura. (Un’altra volta). (ad Ottavio)

Ottavio. (Oh, si sa, e il 16 che voi mi avete dato?) (come sopra)

Rosaura. (Un numero l’ho sempre sicuro). (come sopra)

Ottavio. (Quest’altra volta). (come sopra)

  1. Queste due righe si leggono nelle edd. Bettin. e Paper.: mancano nelle edd. Pasq. e Zatta.