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IL SERVITORE DI DUE PADRONI 551


io lo maltrattassi. Oh, andiamo un po’ a vedere che albergo è questo...

Truffaldino. Signor, l’è restada servida.

Florindo. Che alloggio è codesto?

Truffaldino. L’è una bona locanda, signor. Boni letti, bei specchi, una cusina bellissima, con un odor che consola. Ho parlà col camerier. La sarà servida da re.

Florindo. Voi che mestiere fate?

Truffaldino. El servitor.

Florindo. Siete veneziano?

Truffaldino. No son venezian, ma son qua del Stato. Son bergamasco, per servirla.

Florindo. Adesso avete padrone?

Truffaldino. Adesso... veramente non l’ho.

Florindo. Siete senza padrone?

Truffaldino. Eccome qua; la vede, son senza padron. (Qua noi gh’è el me padron, mi no digo busie). (da sè)

Florindo. Verreste voi a servirmi?

Truffaldino. A servirla? Perchè no? (Se i patti fusse meggio, me cambieria de camisa). (da sè)

Florindo. Almeno per il tempo ch’io sto in Venezia.

Truffaldino. Benissimo. Quando me vorla dar?

Florindo. Quanto pretendete?

Truffaldino. Ghe dirò: un altro patron che aveva, e che adesso qua nol gh’ho più, el me dava un felippo al mese e le spese.

Florindo. Bene, e tanto vi darò io.

Truffaldino. Bisognerave che la me dasse qualcossetta de più.

Florindo. Che cosa pretendereste di più?

Truffaldino. Un soldetto al zorno per el tabacco.

Florindo. Sì, volentieri; ve lo darò.

Truffaldino. Co l’è cussì, stago con lu.

Florindo. Ma vi vorrebbe un poco d’informazione dei fatti vostri.

Truffaldino. Co no la vol altro che informazion dei fatti mii, la vada a Bergamo, che tutti ghe dirà chi son.

Florindo. Non avete nessuno in Venezia che vi conosca?