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IL CAVALIERE E LA DAMA 201

Anselmo. Io le protesto che per lei ho tutto il rispetto, e tanto la stimo ora, ch’è in questo stato, quanto in tempo delle sue fortune.

Eleonora. Voi siete un uomo pieno di bontà e gentilezza. M’immagino per qual motivo vi siate preso l’incomodo di favorirmi, onde non voglio più lungamente tenervi in disagio. Colombina.

Colombina. Illustrissima.

Eleonora. Apri quel cassettino e portami quella borsa.

Colombina. La servo. (Oggi non si desina più). (da sè)

Anselmo. Signora donna Eleonora, è vero ch’è passato il semestre; ma se mai ella si ritrovasse in bisogno e che questo denaro le potesse giovare, son galantuomo, glielo dico di cuore, se ne serva, che io la faccio padrona.

Eleonora. Vi ringrazio infinitamente. Son debitrice e devo soddisfare al mio debito. Via, Colombina, conta il denaro al signore Anselmo, e si compiacerà di farmi la ricevuta.

Anselmo. Non so che dire; quando non lo vuol tenere, quando ella non ha bisogno, le chiedo scusa e lo prendo per obbedirla.

Colombina. (Contandogli i denari, parla piano ad Anselmo) (Oh signor Anselmo, se sapeste le nostre miserie! Sono cinque giorni che non bolle la pentola. Si mangia un poco di pane con un ramolaccio senza sale, un poco di pappa nell’acqua, e si muor dalla fame).

Anselmo. (Come! La signora è in tanta necessità; le offerisco di rilasciarle il denaro, e lo ricusa?) (piano a Colombina)

Colombina. (Ella è fatta così, morirebbe piuttosto che domandare).

Anselmo. (Ma perchè?)

Colombina. (Per certi scrupoli, che non vagliono un fico).

Anselmo. (Bene, ho capito. Fate una cosa: andate via e lasciatemi solo con lei).

Colombina. (Signor sì, mi raccomando alla vostra carità). Signora, il denaro è bello e contato; vado a fare una cosa. (parte)

Anselmo. Signora donna Eleonora, la supplico per amor del cielo perdonarmi la libertà ch’io mi prendo. Qui siamo soli, nessuno ci sente, mi sono note le sue indigenze, son galantuomo, son