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326 | ATTO PRIMO |
Anselmo. Ho inteso, ho inteso. (Oh che cosa rara! Se lo posso avere, non mi scappa dalle mani). (da sè) Quanto ne volete?
Arlecchino. Vinta zecchina.
Anselmo. Oh! è troppo. Se me lo deste per dieci, ancor ancora lo prenderei.
Arlecchino. No podira, no podira.
Anselmo. Finalmente... non è una gran rarità. (Oh! lo voglio assolutamente). (da sè)
Brighella. Volela che l’aggiusta mi?
Anselmo. Sì, vedi se lo desse con dodici. (gli fa cenno colle mani che gli offerisca dodici zecchini)
Brighella. Lamacà, volenich, calabà.
Arlecchino. Salàmin, salamun1, salamà.
Brighella. Curich, maradas, chiribara.
Arlecchino. Sarich, micon, tiribio.
Anselmo. (Che linguaggio curioso! e Brighella l’intende!) (da sè)
Brighella. Sior padron, l’è aggiustada.
Anselmo. Sì, quanto?
Brighella. Quattordese zecchini.
Anselmo. Non vi è male. Son contento. Galantuomo, quattordici zecchini?
Arlecchino. Stara, stara.
Anselmo. Sì, stara, stara. Ecco i vostri denari. (glieli conta)
Arlecchino. Obbligara, obbligara.
Anselmo. E se avera altra altra.... rara, portara.
Arlecchino. Sì, portara, vegnira, cuccara.
Anselmo. Che cosa vuol dir cuccara? (a Brighella)
Brighella. Vuol dir distinguer da un altro.
Anselmo. Benissimo: se cuccara mi, mi cuccara ti. (ad Arlecchino)
Arlecchino. Mi cuccara ti, ma ti no cuccara mi.
Anselmo. Sì, prometterà.
Brighella. Andara, andara.
Arlecchino. Saludara. Patrugna2. (parte)