Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/66

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58 ATTO SECONDO

Lelio. Tenete, questi sono trecento scudi, che egli mi ha dati per resto e saldo de’ nostri conti. (dà una borsa a Pancrazio)

Pancrazio. (Prende la borsa, e guarda Ottavio.)

Ottavio. (Era meglio che fossi andato con lui). (da sè)

Pancrazio. Avete voi guardato bene tutte le partite del dare e dell’avere?

Lelio. Esattissimamente. Le ho riscontrate tre volte. Sono stato attentissimo.

Ottavio. Vede, signor Pancrazio? Tutto frutto delle mie lezioni. Un buon maestro fa un buono scolare.

Pancrazio. Ma se avete sempre detto che non impara niente!

Ottavio. Dai, dai; pesta, pesta: qualche cosa ha da imparare.

Lelio. Ho imparato più da me che dalla sua assistenza.

Ottavio. Oh ingratissimo uomo! Il cielo vi castigherà.

Lelio. Bravo, bravissimo. Ci conosciamo.

Pancrazio. O via, prendete questi denari, andate a metterli in quella camera, e serrate la porta.

Lelio. Vi servo subito. (s’incammina in quella camera, ove è celato Florindo)

Ottavio. (Ora trova Florindo, e s’attaccano. Ma forse Florindo si nasconderà). (da sè)

Lelio. (Entra in camera.)

SCENA IX.

Ottavio, Pancrazio, poi Lelio.

Pancrazio. Vedete? Sempre pensate al male. Sempre mettete degli scandali. V’ho pur sentito dir tante volte che non bisogna far giudizi temerari: che in dubbio siamo obbligati a prender la miglior parte: che del prossimo bisogna parlar bene: che non bisogna mettere i figliuoli in disgrazia del padre. Ma voi, caro signor maestro, che insegnate tutte queste massime, fate peggio degli altri.

Ottavio. Se prendete le mie parole in sinistra parte, non parlo più.

Lelio. (Esce dalla camera e la chiude con le chiavi.)