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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 221


protezione. Invece di spendere, mangia tutto a quella povera diavola, e per cagione di lui forse è costretta a fare quello che non farebbe. Oh che briccone!

Ridolfo. Ma io son qui tutto il giorno; e posso attestare che in casa sua non vedo andare altri che il conte Leandro.

Don Marzio. Ha la porta di dietro; pazzo, pazzo! Sempre flusso, e riflusso. Ha la porta di dietro, pazzo!

Ridolfo. Io bado alla mia bottega; s’ella ha la porta di dietro, che importa a me? Io non vado a dar di naso a nessuno.

Don Marzio. Bestia! Così parli con un par mio? (s’alza

Ridolfo. Le domando perdono: non si può dire una facezia?

Don Marzio. Dammi un bicchier di rosolio.

Ridolfo. (Questa barzelletta mi costerà due soldi). (fa cenno ai giovani che dieno il rosolio)

Don Marzio. (Oh, questa poi della ballerina voglio che tutti la sappiano).

Ridolfo. Servita del rosolio.

Don Marzio. Flusso e riflusso, per la porta di dietro. (bevendo il rosolio)

Ridolfo. Ella starà male, quando ha il flusso e riflusso per la porta di dietro.

SCENA VII.

Eugenio dalla bottega del giuoco, vestito da notte e stralunato,
guardando il cielo e battendo i piedi; e detti.

Don Marzio. Schiavo, signor Eugenio.

Eugenio. Che ora è?

Don Marzio. Sedici ore sonate.

Ridolfo. E il suo orologio va bene.

Eugenio. Caffè.

Ridolfo. La servo subito. (va in bottega)

Don Marzio. Amico, com’è andata?

Eugenio. Caffè. (non abbadando a Don Marzio)

Ridolfo. Subito. (di lontano)