Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/637

Da Wikisource.

IL POETA FANATICO 623

NOTA STORICA

Nessun secolo vide, come il Settecento, tanto profluvio di versi e contò minor numero di poeti; non mai furono le Muse più garrule e meno canore. Federico II che incalzato da tre eserciti, in mezzo alle sventure domestiche e agli orrori d’una guerra infelice, seguita a scrivere sotto la tenda cattive epistole e odi, ci rappresenta questa singolare malattia del tempo. Il furore apollineo ha invaso nella nostra penisola l’uno e l’altro sesso: in ogni cittaduzza è sorta un’accademia di poesia; in ogni seminario, in ogni sala si recitano perpetuamente versi; ad ogni passo comparisce con un foglio in mano il furibondo lettore di Orazio; e gli improvvisatori salgono a incoronarsi sul Campidoglio. È il secolo delle raccolte e dell’Arcadia.

A Carlo Goldoni, vittima, qualche volta volontaria, della follia generale, qualche volta ingenuamente partecipe di quell’entusiasmo, non poteva sfuggire la materia adatta per una commedia. Fin dal principio del Seicento, alcuni pedanti (p. es. G. G. Riccio: il Maritaggio delle Muse, 1625; la Poesia maritata, aggiuntovi i Poeti rivali, 1633) avevano in buona fede creduto di rinnovellare la satira aristofanesca. Meglio Desmaretsin Francia, il più degno dei commediografi avanti Molière, nei Visionari (les Visionaires, 1637: tradotti un secolo dopo dal dott. Pellegrino Rossi modenese, Ven. 1737) portò in scena un poeta ridicolo. Ne’ primi del Settecento P. J. Martello, l’arguto bolognese, tentò una farsetta (Che bei pazzi! 1715) con le maschere del pazzo marinista, del pazzo petrarchista, del pazzo arcade. Ma questi esempi erano troppo lontani dal Goldoni. Ci avviciniamo con le Avventure del poeta (Ven., 1730) di Luisa Bergalli, fra gli arcadi Irminda Partenide, perchè la povertà di Orazio e di Camilla somiglia a quella di Tonino e Corallina: ma il conte Valerio non ha parentela con Ottavio, la satira punge i patrizi poco generosi, la commedia volge al pianto. Tra l’infelice Irminda e Polisseno Fegeio viene a prender posto Enante Vignaiuolo, ossia Girolamo Baruffaldi ferrrarese, autore d’un Poeta (Bologna, 1734), del quale non sembra inutile riferire la tessitura: — Arione, smarrito il cervello dietro le rime, non s’accorge della casa che va in malora: della miseria, che la moglie Anapestica invano gli mostra, e della figlia Lauretta, che amoreggia col suo alunno Pindarino. Costui, per abboccarsi con la fanciulla, sua unica musa, ha cinto il lauro poetico e asseconda lo strampalato genio secentistico di Arione, come confessa ad Anapestica, favorevole alle sue nozze con Lauretta. Ma Arione da molti anni ha promesso con una scrittura la figlia a Ghirigoro, poeta fiorentino, e questo è il tempo che l’ignoto sposo deve giungere a Ferrara. Non giova a Pindarino travestirsi da Ghirigoro: scoperto, simula una fuga con Lauretta. Anapestica si dispera, Arione consolasi con la poesia; i due amanti ritornano, e ottengono il perdono e le nozze.

Benchè il Goldoni taccia il nome del buon arciprete di Cento, e affermi nelle Memorie (P. 2, c. XV)Memorie di Carlo Goldoni di aver tolto dal vero i personaggi e gli episodi, non so persuadermi che non ricavasse l’ispirazione dal rozzo parto del Baruffaldi. Cosa tutta diversa è la celebratissima commedia di Piron (la Métroma-