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Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XV

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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Parte seconda - XIV Parte seconda - XVI

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CAPITOLO XV.

Mio viaggio a Bologna. — Fortunata relazione contratta con un senatore di questa città. — Sue gentilezze a mio riguardo. — I Bisticci domestici, commedia di tre atti. — Suo bel successo. — . Il Poeta fanatico, commedia in tre atti. — Sua storia. — Suo giudizio.

Le ipocondrie della signora Medebac avevano quasi quasi risvegliato anche le mie, con questa differenza però, che ella era ammalata solamente d’animo, io invece di corpo. Ancora mi risentivo, come pur troppo sempre mi son risentito, del lavoro di sedici commedie; perlocchè, avendo bisogno di mutar aria, andai a riunirmi con i miei comici a Bologna. Arrivato in questa città, vado nel caffè posto in faccia alla chiesa di San Petronio, entro a tutti ignoto, e alcuni minuti dopo comparisce un signore del paese, che indirizzando il discorso verso un tavolino attorniato da cinque o sei persone di sua conoscenza, dice loro in buon linguaggio bolognese: Sapete, amici miei, che cosa c’è di nuovo? — Che mai? gli vien da tutti risposto: Abbiamo per novità, egli soggiunge, che or [p. 186 modifica]ora è arrivato il Goldoni. — Per me è lo stesso, dice uno. — Che importa a noi? risponde l’altro. — Il terzo però con maggior convenienza: Se così è, riprende, lo vedrò con piacere. — Oh! oh! che bella cosa da vedersi, replicano tosto i primi due. — Questi, soggiunge l’altro, è pur l’autore di quelle belle commedie... — Viene ad un tratto interrotto un tal discorso da una persona, che non aveva in quel mentre mai parlato, e che grida ad alta voce: Certo, certo, il Goldoni è un grande autore, un autor sublime, che ha soppresso le maschere, e rovinato l’arte comica... — In questo medesimo istante appunto giunge il dottor Fiume, che dice, venendo di slancio ad abbracciarmi: Benvenuto, benvenuto, il mio caro Goldoni! — A questo dire la persona che aveva manifestato la voglia di conoscermi, mi si accosta, e gli altri sfilan via l’uno dopo l’altro senza proferir parola. Questa scenetta mi divertì moltissimo; frattanto rividi con piacere il dottor Fiume, che, pochi anni avanti, fu mio medico, usai garbatezze al gentile bolognese, che aveva avuto un poco più di buona opinione di me, e tutti insieme andammo a casa del senator di Bologna, il marchese Albergati Capacelli. Questo signore, conosciutissimo nella repubblica delle lettere per la traduzione di parecchie tragedie francesi, come pure per varie buone commedie di suo particolar gusto, e molto più poi per la somma stima che ne faceva di esse il signor Voltaire, aveva, oltre il sapere e il suo bel genio, le prerogative più felici per l’arte della declamazione teatrale, potendosi dire, che non vi fosse in Italia comico, o dilettante, capace di sostenere al pari di lui le parti eroiche nella tragedia, e quelle di amoroso nella commedia. Era, insomma, la delizia del suo paese, ed ora a Zola ora a Medicina, sue terre, era seguitato da attori ed attrici della sua conversazione, ai quali con la sua intelligenza e pratica inspirava animo egli stesso. Ebbi adunque la fortuna di contribuire ai piaceri di lui, componendo cinque commedie per il suo teatro, delle quali sarà da me reso conto al termine di questa seconda parte. Il signor Albergati ebbe sempre molta bontà ed amicizia per me; infatti alloggiavo in sua casa ogni volta che andavo a Bologna, nè si è mai di me scordato, anche nel tempo dell’attuale nostra lontananza, avendomi perfino diretto ultimamente una delle sue commedie, preceduta da una graziosa lettera, per me onorevolissima. Nel mio soggiorno di Bologna non perdetti tempo, poichè lavorai per il mio teatro, e composi una commedia intitolata I bisticci domestici, con la quale fu aperto in Venezia l’anno comico 1752. In questa commedia compariscono persone di qualità. Vi è una vedova con due figli, unitamente al cognato, capo della famiglia. Questi soggetti hanno tutti buon senno, si amano a vicenda, e sembrano propriamente fatti per godere la più dolce tranquillità; ma la gente di casa, per il solito contenziosa, e sempre in dissensione, procura di far prendere parte ai padroni nelle contese domestiche; per il che comincia sugli uni e gli altri a prender possesso la discordia, e s’inoltra il disordine a segno, che si arriva di lì a poco a parlare di separazione. Vi è poi un curiale che tormenta, consigliando sempre a litigare. In tale stato di cose s’adopera per la loro pace un comune amico, il quale per primo articolo di conciliazione propone di metter fuori i servitori. Questo punto incontra molte difficoltà, poichè ogni padrone vorrebbe tenere il suo, ma al finir dei conti questo è l’unico espediente per ristabilir la pace. In somma si rinnova la famiglia, così cessano tutte le differenze ed i padroni si riconciliano senza difficoltà. La sostanza di questa commedia era stata messa insieme [p. 187 modifica]da me in parecchie conversazioni, che avevo ben conosciuto esser lo scherzo della troppa propensione per i domestici; per la qual cosa ebbi sommo piacere di vedere applaudire una morale utilissima, a mio parere, per quelle famiglie che vivono sotto il medesimo tetto. Da questo piacevole soggetto passai ad un altro molto comico. Mi si era presentato un uomo molto ricco, che, avendo una unica figlia, giovine, bella e piena di disposizioni felicissime per la poesia, ricusava di maritarla, per la sola ragione di voler godere egli solo i pregi di questa graziosa musa. Teneva di tempo in tempo in casa sua alcune adunanze letterarie, e tutti vi concorrevano con piacere, ad unico fine di vedere la figlia, il cui padre era di un ridicolo insoffribile. Nel tempo che la fanciulla esponeva i suoi versi, quest’uomo infatuato stava in piedi, guardava a diritta e sinistra, intimava silenzio, s’inquietava se si starnutiva, reputava indecenza prendere tabacco, e faceva tanti gesti e scontorcimenti, che ci voleva una gran pena per ritener gli scrosci di risa. Terminato il canto, il padre era il primo a batter le mani: dipoi esciva dal circolo, e senza riguardo per i poeti che recitavano le loro composizioni, andava dietro la sedia di ognuno, dicendo ad alta voce, e con indecenza: Avete voi sentita mia figlia? Eh! eh! che ne dite voi, eh? Vi corre pur tanto da questi! — Io stesso mi sono imbattuto parecchie volte a simili scene, anzi l’ultima in cui mi trovai finì male, perchè gli autori vennero sul serio a contesa fra loro, e lasciarono il posto molto bruscamente. Inoltre questo padre fanatico voleva andare a Roma, per far coronare sua figlia in Campidoglio. Gli fu impedito dai parenti, ci si mescolò inclusive il governo; onde la signorina fu maritata a dispetto di lui, e quindici giorni dopo egli cadde malato, e il dispiacere lo tolse di vita. In conseguenza di questo aneddoto composi una commedia intitolata Il Poeta fanatico, dando al padre ora il buono ed ora il cattivo gusto della poesia per diffondere così maggior brio nella composizione; bene è vero però, che questa commedia non è paragonabile con la Metromania di Pirone, anzi può assolutamente dirsi una delle mie più deboli commedie. Ciò non ostante ebbe in Venezia qualche incontro, ma dovette questo vantaggio alle grazie di cui fu da me rivestito il soggetto principale. Il Collalto recitava da giovine improvvisatore, e piaceva moltissimo per la leggiadria del suo canto nella recita dei suoi versi. Il Brighella servitore era poeta egli pure, essendo molto divertevoli le sue composizioni e le sue uscite burlesche; con tutto questo una commedia senza sentimento, senza intreccio, e senza sospensione, malgrado le sue bellezze particolari, non può essere assolutamente se non se un cattivo lavoro, perchè dunque è stampata? Perchè i librai s’impadroniscono arbitrariamente di tutto, senza prima consultar gli autori viventi.