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IL TEATRO COMICO 77

Pantalone. Ve digo che questa la xe una baronada, che un pare no ha da far el mezzan alla putta, per trappolar el fio d’un galantuomo, d’un omo d’onor.

Florindo. (Via, signor padre, non andate in collera). (a Pantalone)

Dottore. E un galantuomo, un uomo d’onore, non ha da sedurre la figlia di un buon amico, contro le leggi dell’ospitalità e della buona amicizia.

Rosaura. Per amor del cielo, non vi alterate. (al Dottore)

SCENA VIII.

Lelio, Tonino e detti.

Lelio. Bravi, signori comici, bravi. Veramente questa è una bella scena. Il signor capo di compagnia mi va dicendo che il teatro si è riformato, che ora si osservano tutte le buone regole, e pur questa vostra scena è uno sproposito, non può stare, e non si può far così.

Eugenio. Perchè non può stare? Quale è lo sproposito che notate voi in questa scena?

Lelio. È uno dei più grandi e dei più massicci che dir si possa.

Tonino. Chi èla éla, patron? El proto delle commedie?

Vittoria. È un poeta famosissimo. (fa il cenno che mangia bene)

Petronio. Sa perfettamente a memoria la Buccolica1 di Virgilio.

Lelio. So e non so; ma so che questa è una cattiva scena.

SCENA IX.

Orazio e detti.

Orazio. Cosa c’è? non si finisce di provare?

Placida. Abbiamo quasi finito, ma il signor Lelio grida e dice che questa scena va male.

Orazio. Per qual cagione lo dice, signor Lelio?

Lelio. Perchè ho inteso dire che Orazio, nella sua Poetica, dia

  1. Così è stampato a bella posta in tutte le edd.