Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/138

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128 ATTO PRIMO

Rosaura. Addio. Beatrice mi chiama, non posso più trattenermi, (entra)

Brighella. (Ho visto tanto che basta; vado a avvisar el padron). (da sè, parte)

Florindo. Qual confusione è la mia? Rosaura in casa di Beatrice? Come? Per qual ragione? Sospira? Si lagna? Oh cieli! Che sarà mai? Oh sì, temo che Beatrice medesima, la quale pretende da me non so se mi dica amore o servitù, abbia scoperto il nuovo affetto mio per Rosaura, e ne abbia concepita una specie di gelosia. Se così è, conviene levar la maschera. Anderò io dal signor Ottavio, gli svelerò l’arcano, impetrerò la sua protezione, ed egli ch’è uomo giusto ed onesto, non mi saprà negare la mia Rosaura. La porta di dietro è ancora rinchiusa; mi converrà fare il giro ed entrar per l’altra maggiore. Ah, pur troppo è vero, non si può giungere ad una felicità, senza passare per mezzo a mille spasimi, a mille rancori. (parte)

SCENA XIV.

S’apre la porta del palazzo, da cui esce Rosaura, Arlecchino e due Uomini.

Arlecchino. Cara siora, mi no so gnente: comanda chi deve, obbedisce chi puole. Mi fazzo quel che comanda la mia patrona.

Rosaura. Ma che ti ha comandato la tua padrona?

Arlecchino. L’ha comanda a mi e a mi camerada, che ve menemo alla posta, che demo sta carta al mastro de posta, e mi no so altro. L’è una carta che pesa, bisogna che denter ghe sia qualche sella da cavallo.

Rosaura. Come? Vuol ella forse mandarmi via di qui senza dirmi nulla?

Arlecchino. Mi no so altro; andemo e no perdemo più tempo.

Rosaura. Oh Dio! Dov’è andato Florindo? Era qui poc’anzi; per mia sventura è partito.

Arlecchino. Animo, camerade, andemo. (alli due uomini)