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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/462

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448 ATTO TERZO

Beatrice. No, no, starete meglio coll’amabile compagnia della signora Rosaura.

Ottavio. Eh, la signora Rosaura è andata...

Beatrice. Dov’è? In ritiro?

Ottavio. Sì, altro che ritiro!

Beatrice. Vi è qualche novità?

Ottavio. Novità non piccola. È fuggita.

Beatrice. Quando? Come?

Ottavio. Non sarà un’ora, che ella è fuggita di casa, dietro certo Florindo degli Aretusi.

Beatrice. Lo conosco. Oh diamine! Chi l’avesse mai detto, che quella giovane sì modesta, sì semplice...

Ottavio. Se tanto fanno le semplici, figuriamoci poi che cosa faranno le spiritose.

Beatrice. (Mi pare impossibile). (da sè)

Ottavio. Ecco qui, anche questa ve la prendete per voi.

Beatrice. No, io non me lo sognava: ma voi mi mettete in malizia. Dunque si può temer di peggio delle spiritose.

Ottavio. Da uno spirito regolato e prudente, siccome il vostro, non si può sperare che azioni buone, eroiche ed esemplari.

Beatrice. Grazie della burla.

Ottavio. (Vorrei imparar a adulare, ma non ci ho grazia), (da sè)

Beatrice. Che dice il povero signor Pantalone?

Ottavio. Si dispera; ma suo danno.

Beatrice. Perchè suo danno?

Ottavio. Perchè doveva maritarla. Quando io l’ho esaminata a quattr’occhi, e le ho fatti certi discorsi, me ne sono avveduto benissimo, ch’ella voleva marito.

Beatrice. Avete avuto per lei dell’amore?

Ottavio. Se avessi voluto! Ma! Non vi è pericolo. Son tutto vostro.

Beatrice. (Non sono libera da’ miei sospetti). (da sè)

Ottavio. Cara signora Beatrice, mi avete perdonato?

Beatrice. Sì, vi ho perdonato.

Ottavio. Io, dopo che mi son veduta aprire la porta di questa