Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu/448

Da Wikisource.
432 ATTO PRIMO

Florindo. E quella zuppa? Pareva nell’acqua.

Lelio. Non mi è dispiaciuto quel pasticcio.

Florindo. Sì, me ne sono accorto; l’avete mangiato mezzo.

Lelio. E voi il resto.

Florindo. Noi ci siamo portati bene; mentre gli amanti rabbiosi taroccavano.

Lelio. Che pazzo è quel conte Ottavio!

Florindo. E la Marchesa non è più savia di lui.

Lelio. Fanno impazzire quella povera contessa Rosaura.

Florindo. Suo danno, non doveva sposare un cavaliere.

Lelio. Io giuoco ch’ella se ne sta lavorando, mentre il marito si diverte.

Florindo. Andiamola a ritrovare?

Lelio. Sì, andiamo. So che il conte Ottavio ha del prezioso vin di Canarie.

Florindo. Con questi pazzi è il più bel divertimento del mondo.

Lelio. E chi vuol godere, bisogna secondarli.

Florindo. Oh! sempre. Ecco i nostri servitori col lume. Andiamo.

SCENA III.

Faloppa e Pistone colle lanterne, e detti.

Florindo. Dalla contessa Rosaura. (a Pistone)

Lelio. Sì, dalla Contessa. (a Faloppa)

Florindo. Già il conte Ottavio non partirà di qui così presto.

Lelio. Avete veduto con che cera brusca ci guardava? Voleva restar solo.

Florindo. E noi andiamo a tener compagnia a sua moglie.

Lelio. Oh, s’ella non fosse così scrupolosa!

Florindo. Eh! Chi sa?

Lelio. Bravo: sempre sperare.

Florindo. Sperare, ma non ispendere.

Lelio. Oh caro! Andiamo. (tutti partono)