Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/220

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Ottavio. Noi non abbiamo sinora che una sola commedia.

Zamaria. Ma come fareu a tirar avanti?

Ottavio. Quello che non si è fatto, speriamo che si farà.

Zamaria. Orsù, bisognerà che me provveda de palco.

Clarice. Bravo, signor Zamaria. Lo prenda questa sera, e vada co’ suoi amici a dar coraggio ai personaggi novelli.

Zamaria. Che commedia feu stassera?

Ottavio. Si farà la Madre amorosaa.

Zamaria. Ah sì, quella commedia nova che l’anno passa ave abudo tardi, e no l’ave podestà far. L’aveu fatta in altri lioghi?

Ottavio. L’abbiamo fatta.

Zamaria. E come xela riussia?

Ottavio. Non è commedia che possa far grande strepito; per altro fu compatita.

Florindo. No, amico, dite pure liberamente che la commedia è leggiera, semplicissima e breve; fondata sopra una virtuosa passione, ma poco ridicola, e senza quei caratteri forti, giocosi, che in oggi sogliono far brillar le commedie. E bene prevenirlo questo signore, acciò che egli lo dica agli altri; e sappiasi che noi medesimi non ci aduliamo e che sappiamo dire la verità2.

Zamaria. Diseme, caro vu, xela in versi?

Florindo. Non signore. E in prosa.

Zamaria. Mal.

Florindo. Perchè mal?

Zamaria. Mal, caro vecchio, mal. Adesso co le commedie no xe in versi, no le piase più. Cossa diseu vu? (ad Ottavio)

Ottavio. Io dico, signore, che le commedie in versi sono piacevoli, sono vezzose; ma sarebbe peccato che si perdesse il bel dialogo naturale della nostra prosa. Il solletico del verso e della

  1. La prima stampata nel Tomo secondo1.
  1. Intendesi dell’ed. Pitteri di Venezia. Vedi il presente volume, subito dopo di questa Introduzione.
  2. Quest’ultimo periodo si dovrebbe chiudere fra parentesi.