Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/343

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TERENZIO 331
Damone.   Signor.

Lucano.   Si chiama, e non risponde alcuno?
Damone. Rispondere poteva veramente più d’uno.
Terenzio con Creusa eran di me più innanti,
Ma avean altro che fare gli sguaiatelli amanti.
Lucano. Amanti?
Damone.   Sì, signore. Se a voi non è palese,
Saprete il loro fuoco, passato il nono mese.
Lucano. Parli da stolto.
Damone.   È vero: parlo da stolto, e ’l sono.
Se il mio dover non faccio, domandovi perdono.
In casa, ove gli amori accorda il padron mio,
Dovrei con una schiava far il galante anch’io.
Far nascer degli schiavi dovrei al mio signore,
Ma un brutto malefizio m’ha fatto il genitore;
Piace a me pur la donna, ma sol, con mio tormento,
Scacciar deggio le mosche, mirarla e farle vento.
Lucano. Venga Terenzio.
Damone.   In pace resti anche un poco almeno:
Non può l’affar che tratta, aver spedito appieno.
Lucano. Tosto lo voglio. Intendi?
Damone.   Se fossero rinchiusi?...
Dirò che lo domandi, che venga, e che mi scusi.
Lucano. Ma no...
Damone.   No, lo diceva; in caso tal non s’usa
Dar noia a chi sta bene.
Lucano.   Qui mandami Creusa.
Damone. Tempo maggior per essa vi vuol, pria che disposta...
Lucano. Venga tosto, ti dico.
Damone.   Ma se...
Lucano.   Non vo’ risposta.
Damone. Andrò di volo. (Amante so ch’è il padron di lei.)
Principio una vendetta formar de’ torti miei:
Penso allo stato mio, m’arrabbio e mi confondo;
Perchè nessun godesse, vorrei finisse il mondo).
(da sè, e parte)