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438 | ATTO SECONDO |
SCENA VII.
Don Gherardo, poi Torquato.
Vorrei saper... due scudi, affè, li ho spesi male.
Può darsi che Torquato sia acceso di costei;
Ma come, quando, dove... tutto saper vorrei.
Eccolo ch’egli viene. Ripongo il madrigale.
Che cos’è questo scritto? qualch’altro originale?
Tondo è il ricco edificio... Vuò ricavar da lui...
Torquato. Signor, chi v’ha insegnato guardare i fatti altrui?
Gherardo. Compatite: v'è noto ch’io son de’ versi amante,
Stimo le cose vostre d'ogn'altra cosa innante.
Quella che qua mi porta, non è curiosità;
E amicizia, è1 passione...
Torquato. Unita a inciviltà.
Gherardo. Voi m’offendete, amico, parlandomi così.
Torquato. Dov’è il mio madrigale?
Gherardo. Il madrigale è qui.
Torquato. A voi chi diè licenza levarlo da quel loco?
Gherardo. Con un par mio, Torquato, voi eccedete un poco.
Torquato. Libero a tutti parlo, se so d’aver ragione.
Non porterei rispetto in tal caso al padrone.
Gherardo. Spiacevi che si sappia l’amor che in sen nutrite?
Torquato. Qual amor? io non amo.
Gherardo. Eh, che si sa.
Torquato. Mentite.
Gherardo. Una mentita a me? Vi corre un bel divario...
Torquato. Perdonate il trasporto; lo so, fui temerario;
Ma i primi moti in seno frenar non mi è permesso.
Gherardo. Dell’amicizia in grazia, vi perdono ogni eccesso.
Basta che in ricompensa di mia benevolenza,
Non ricusate almeno farmi una confidenza.
Qual sia quella che amate, da voi saper io bramo.
- ↑ Zatta: e.