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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/80

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74 ATTO TERZO
Di noi che si direbbe, se non foss’io invitata?

Di me non so, ma lei sarebbe criticata.
Chi mi conosce appieno, sa ch'io non son capace
Di rendermi molesta, di turbar l’altrui pace.
E la Contessa istessa, che la giustizia apprezza,
Che in seno ha per costume nutrir la gentilezza,
Che ha un’anima sì bella, un cuor sì onesto e saggio,
A me si pentirebbe d’aver fatto un oltraggio.
Volesse il ciel che a lei parlar mi fosse dato;
Vorrei che chi m’insulta, restasse svergognato.
Vorrei gettarmi al collo della Contessa mia:
Scaccia, le vorrei dire, l’ingiusta gelosia.
L’amato tuo consorte il ciel ti benedica.
Contessa, ti son serva, ti son verace amica.
Marchesa. (Che vi par, Baronessa?) (alla Baronessa, piano)
Baronessa.   (Di più dir non si può).
Madama. (Arrendersi dovrebbe). (da sè, osservando la Contessa)
Contessa.   (Che deggio far?) (a Balestra)
Balestra.   (Nol so).
Contessa. (Andiamo). (s’alza)
Balestra.   (Un tal discorso...)
Contessa.   (Sieguimi, ho già risolto). (parte)
Balestra. (Per dir la verità, Madama ha detto molto), (parte)

SCENA X.

Le suddette Baronessa, Marchesa, Madama.

Marchesa. La maschera è partita.

Baronessa.   (Chi sa chi diavol sia?) (da sè)
Madama. (Che mai sperar io posso della invenzione mia?) (da sè)
Marchesa. Ora sarà che andiamo.
Baronessa.   Andiam, se lo bramate,
Madama. Son sola; ancora un poco, care amiche, aspettate.
Marchesa. Possiam restare ancora.
Madama.   Voi mi farete onore.
Baronessa. Restiam, finchè ritorni il povero dottore.