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266 ATTO QUINTO

SCENA IV.

Il Conte, Fabrizio e detti.

Conte. Eccomi qui.

Cavaliere.   Sediamo. (tutti siedono)
Fabrizio.   (Paion tutti arrabbiati). (da sè)
Conte. (Mi rallegro). (piano alla Contessa e a don Paolino)
Paolino.   (Di che?) (al Conte)
Conte.   (Che siate risvegliati).
(come sopra; poi va a sedere dall’altra parte, presso il Cavaliere)
Cavaliere. Conte, non è più tempo che si nasconda il vero.
Più non giova il celarsi; scoperto è il gran mistero.
Nel cuor di vostra figlia so quale amor si aduna...
Conte. S’ella non vi vuol bene, io non ne ho colpa alcuna.
Contessa. Voi non sapete ancora... (al Cavaliere)
Cavaliere.   Per or datevi pace.
(alla Contessa)
Paolino. Parlerò io per tutti. (al Cavaliere arditamente)
Cavaliere.   In casa mia si tace.
(a don Paolino)
Da cavalier qual sono, parlar mi sentirete;
E fintanto ch’io parlo, signori miei, tacete.
Conte...
Conte.   A me non parlate, che inutile sarà.
Cavaliere. Voglio parlar con voi.
Conte.   Parlate: eccomi qua.
Cavaliere. Voi, colla vostra figlia da me con un pretesto
Questa mane veniste, in apparenza onesto.
Io con vero rispetto e con sincero amore,
Accolsi in queste mura la figlia e il genitore.
Conte. È vero; e ci faceste un pranzo esquisitissimo.
Cavaliere. Ma però....
Conte.   Quel bodino mi è piaciuto moltissimo.
Cavaliere. Posso parlar?
Conte.   Parlate.