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408 ATTO TERZO
Dorotea. Oh oh, ve ne offendete?

Giuseppina.   Certo, se dirmi io sento...
Dorotea. Lo conoscete pure il mio temperamento.
Da una zia che vuol bene, tutto soffrir si suole.
Io misurar non posso i gesti e le parole.
Se il dicesse Rosina, io la compatirei,
Ma siete, a quel ch’io vedo, più ignorante di lei.
Giuseppina. (Mi convien tollerarla finchè il bisogno il chiede). (da sè)
Dorotea. Sapete pur ch’io v’amo.
Giuseppina.   Sì, cara zia, si vede.
Tanto alla bontà vostra e al vostro amor mi affido,
Che il cor sinceramente vi svelo e vi confido.
Amo il signor Fulgenzio.
Dorotea.   Lo so; stamane è stato
Da me il signor Fulgenzio, e anch’ei me n’ha parlato.
Questo per voi mi sembra un ottimo partito.
Ha tutti i requisiti che fanno un buon marito.
Veggo che tutti due siete di ciò contenti;
Gli ho detto che qui venga, ed ei verrà a momenti.
Giuseppina. Verrà qui?
Dorotea.   Senza fallo.
Giuseppina.   Di giorno!
Dorotea.   Cosa importa?
Giuseppina. Cosa dirà lo zio, se il vede a questa porta?
Dorotea. Dica quel che sa dire. Io sosterrò l’impegno.
Giuseppina. No, per amor del cielo.
Dorotea.   Puh! che testa di legno!
Giuseppina. A chi testa di legno?
Dorotea.   A voi.
Giuseppina.   Bene obbligata.
Dorotea. Che dia voi! non sapete ne men se siete nata!
Di chi avete paura?
Giuseppina.   Che il vecchio non sopporti...
Dorotea. Non ci son io?
Giuseppina.   Non basta.