Marinetta. Mia amia, a quel che sento, vorria la conclusion.
Ma la gh’ha qualche dubbio, e lal gh’ha con rason.
Silvestra. Mi, siora?
Marinetta. Eh sì, so tutto. Lo so che lal torna.
Ma la dise sior’amia che no la sa chi el sia.
Donca se a lu ghe preme la conclusion del fatto,
Sior’amia voi saver qualo che xe el so stato.
Ferdinando. Sior’amia vuol sapere? (a Marinetta)
Silvestra. Eh, che non son curiosa....
Ferdinando. Sì, sì, la signor’amia dee sapere ogni cosa.
Io sono un galantuomo; Fernando è il nome mio;
Astolfi è il mio casato, e cittadin son io.
L’entrate ch’io possiedo, bastano al mio bisogno.
Ricchezze non ostento, del ver non mi vergogno.
Ecco qui quattro lettere di raccomandazione,
Che provano il mio nome e la mia condizione.
Ho qui dei patrioti che mi conoscon tutti.
Ci son dei Veneziani che di me sono istrutti.
Moglie non ho, la cerco di condizion mia pari:
Non dico di volerla pigliar senza danari.
Bramo una dote onesta, ma più della ricchezza
Desidero una figlia d’onore e di schiettezza.
Ed io posso promettere amor, fede e rispetto.
Ecco, alla signor’amia quanto dir posso, ho detto.
Silvestra. (Caspita! se el me tocca, l’occasion xe bonissima).
Marinetta. Sior’amia ghe responde, che la xe contentissima.
Togo ste quattro lettere per poderme informar.
Sior’amia appresso el mondo se vol giustificar.
Se qualchedun volesse parlar fora de ton,
Sior’amia vol defenderse.
Felice. Sior’amia gh’ha rason.
Silvestra. In verità dasseno, nezza, son obbligada
Al vostro bon amor. Proprio son consolada.
Ferdinando. La signor’amia intese tutti gli affari miei.
Anch’io vorrei sentire qualche cosa da lei.