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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/338

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332 ATTO TERZO
Fino il tuo nome istesso vo’ cancellar dal core.

Di comparirmi in faccia fosti cotanto ardita,
Col tuo delitto in petto, colla mia fè tradita?
Vattene da me lungi, t’abborro, e ti detesto,
Anima senza fede.
Marchesa.   Che favellare è questo?
Con tai villani oltraggi si parla ad una dama?
Contro il marito istesso vo’ garantir mia fama.
Ho nelle vene un sangue che al suo dover non manca:
Con chi l’onor mi tocca, son risoluta e franca.
Della mia vita istessa l’arbitro, è ver, voi siete,
Ma nell’onor, signore, a rispettarmi avete.
Marchese. Chi dell’onor si pregia, alla passion non cede;
Rispettare non deggio chi mancami di fede.
Marchesa. Chi vi manca di fede?
Marchese.   Il vostro cuore audace.
Marchesa. Chi di accusarmi ardisce, è un traditor mendace.
Dove poc’anzi andaste, dove vi trovo adesso,
Lo so che si congiura contro il mio sangue istesso.
Ma una germana ingrata, che di oltraggiarmi ardì,
Ma un scellerato amico, conoscerete un dì.
Marchese. Ogni perfido core, per mendicar la scusa,
Suol tentar cogl’insulti discreditar l’accusa.
No, più garrir non voglio con una donna ardita;
Perfida, le menzogne ti han da costar la vita.
Marchesa. Questa minaccia orribile non forma il mio spavento.
Salva la mia innocenza, di morire acconsento.
Provami la mia colpa, se hai tal potere, ingrato.
Marchese. Non provocarmi, altera.
Marchesa.   Sfido la morte e il fato.
Marchese. Qual fato a te sovrasta, dica il tuo cuore insano.
La morte che tu sfidi, l’avrai dalla mia mano.
So quel che tu facesti, so quel che a me si aspetta.
Non attendo discolpe; vo a meditar vendetta. (parte)